Eccellenza, Signora Sindaco, reverendissimo don Massimo Monti, Nipoti, sacerdoti, cari fedeli, la liturgia della Parola ci accompagna nella celebrazione delle esequie del caro don Leonardo Poggiolini. La conversione di san Paolo, presentata negli
Atti degli apostoli (At 9, 1-20), ci dà l’occasione di parlare della vocazione del giovane Leonardo e del suo ministero presbiterale. Solitamente nella descrizione della conversione dell’Apostolo delle genti poniamo attenzione agli eventi esteriori che l’hanno accompagnata: la luce folgorante dal cielo, la caduta da cavallo, l’accecamento, la voce che dice «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». È, però, anche importante cogliere ciò che avviene nel mondo interiore di colui che perseguitava accanitamente i primi cristiani. Nel divenire apostolo di Cristo si verifica nel suo spirito un terremoto, un capovolgimento totale di vedute e di sentimenti. Cristo, da odiato, e da annientare assieme ai suoi discepoli, diventa accolto, amato, perno centrale della sua vita, fulcro dei suoi pensieri, il «fuoco» delle sue prospettive. Perché? Cristo lo ghermisce, lo afferra, non con una forza dominatrice, ma con la potenza del suo Amore che fonde il male annidato nel cuore. Trasforma l’animo di Paolo, lo attira e lo orienta pienamente a sé. Il persecutore cambia radicalmente non attraverso un processo psicologico, mediante una lenta evoluzione intellettuale e morale. Il suo mutamento interiore viene dall’esterno, dal forte incontro-«impatto» con Gesù risorto. Un tale incontro fa «morire» il Paolo che desiderava distruggere la Chiesa nascente e, nello stesso tempo, lo fa risorgere, ri-vivere, stravolgendo i suoi obiettivi, offrendogli nuove e audaci motivazioni di azione. Dopo l’incontro improvviso con la persona del Risorto, a Paolo di Tarso importa solo Gesù Cristo. Tutto il resto diventa «spazzatura», una perdita, un nulla. Ciò che vale, sopra ogni cosa, è il Figlio di Dio. Ciò che importa è vivere Cristo-Amore. Cristo è il vero guadagno della sua vita. La mente, il cuore, i parametri di riferimento abituali vengono sostituiti.In noi e in don Leonardo da giovane, l’
orientamento a Cristo non è avvenuto in maniera repentina ed irresistibile, bensì nella gradualità, passo dopo passo. Anche don Leonardo è giunto a toccare il cuore di Cristo, ha sentito che Cristo, sempre più affettuosamente, toccava il suo cuore con un Amore attrattivo, «seducente». Tant’è che fece la scelta di divenire sacerdote,
alter Christus. Venne ordinato il 29 giugno 1951, assieme a don Alfio Alpi e don Luigi Maretti. In seguito fu cappellano qui a Tredozio con il pievano Bandini, poi vescovo. Nel 1956 divenne parroco di san Cesario in Cesata. Nel tempo, dopo il progressivo spopolamento della sua parrocchia, era generosamente disponibile, con la celebrazione dei sacramenti e la sua colta e sapida predicazione nella valli dell’Unità pastorale «Madonna delle Grazie», ma anche a San Severo e a Felisio, per diversi anni. Note costanti del suo servizio pastorale sono state: la passione nella fede, il coraggio dell’annuncio, sulle orme di don Antonio Tabanelli, il
don Alfonso descritto da don Poggiolini in uno dei suoi preziosi volumetti editi da “Il Piccolo”; la convinzione del fermento civilizzatore del cristianesimo, che genera nella storia rinascimenti, umanesimi aperti alla trascendenza; l’impegno per la giustizia e la pace, come esigenza intrinseca dell’amore a Cristo; l’indispensabilità delle istituzioni cattoliche (scuole, circoli, persino banche) per l’incarnazione del Vangelo nella vita degli uomini. Don Poggiolini ha coltivato i valori del
cattolicesimo sociale e, soprattutto, ha inverato in sé una delle
principali caratteristiche dell’apostolato di san Paolo: sentirsi inviato, mandato, essere
apostolo di Cristo (1 Cor 1,1): «tutto io faccio per il Vangelo, […] guai a me se non lo predicassi» (
1 Corinzi 9, 16.19.22-23). Chi sente di appartenere a Cristo, comprende di essere inviato a redimere la vita umana, la storia, a trasfigurarle, proprio con l’Amore di Cristo.
La missione sacerdotale ha aiutato don Leonardo a vivere in maniera intensa e originale la sua stessa passione di pittore, scultore, di scrittore. Personalità davvero poliedrica, possedeva un eccezionale spirito di osservazione, vivacità intellettuale, capacità espressiva. Gli splendidi scenari della sua terra erano interiorizzati e rivissuti. Li esprimeva, poi, a livello artistico, con una fantasia brillante e creatrice. Infondeva nelle sue tele e nella materia, nei suoi scritti, una trasfigurazione unica, la risignificazione del creato, dell’uomo e della donna, della vita sociale. La chiesa di Ottignana, a un paio di chilometri da Tredozio, in un’altra sua pubblicazione, l’Atelier, è definita «civettuola», perché a vederla dalla strada pare occhieggi ai passanti col suo piccolo rosone per suscitare in loro un pensiero al buon Dio (cf L’Atelier, p. 2). Una perla di saggezza della sua esperienza educativa può essere considerata l’affermazione: «Rifare le teste, occorrerebbe non raffazzonarle con rinzaffi[1] di calce culturale slavata» (Ib., p. 31). In sostanza, bisognerebbe ricominciare dalle fondamenta, costruendo menti granitiche e aperte, con una cultura robusta, non superficiale. La guida spirituale, cresciuta in lui, raccontando di quel monaco ignorante della Tebaide, visitato e inutilmente istruito dall’Archimandrita che voleva aiutarlo a pregare con proprietà di formule, l’ha portato a concludere: «Nella preghiera è lo spirito che conta» (ib., p. 32). Se non si riesce a memorizzare perfettamente tutte le parole, conta il cuore.
Don Leonardo, che si dedicava ad organizzare mostre in varie parti d’Italia, per esporre i suoi quadri e i suoi lavori plastici, non ha mai cessato, celebrando l’Eucaristia, di offrire il pane disceso dal cielo, il pane che fa vivere in eterno, di cui ci parla il Vangelo di Giovanni (cf Gv 6, 52-59). Non si tratta del pane materiale, ma di Cristo stesso. Se il pane vivo, disceso dal cielo, il Figlio di Dio incarnato, non entra in noi, non ci alimenta, soprattutto non facciamo comunione profonda con la divinità, con la sua vita e la sua capacità di Amore. Per amare come ama Lui, per vivere con quell’Amore da cui proveniamo e per il quale ci muoviamo e siamo stati fatti, dobbiamo nutrirci di Cristo. Egli diventa cibo per noi sulla mensa. La comunione con Cristo ci mette in comunione con i fratelli e le sorelle e, quindi, anche con don Leonardo, con tutti i defunti per i quali celebriamo l’Eucaristia. La Beata Vergine delle Grazie, della quale don Leonardo era devoto e della quale stiamo celebrando la festa diocesana come nostra Patrona, lo accolga e lo accompagni nella Gerusalemme del cielo.