UNA CHIESA, POPOLO IN CAMMINO VERSO DIO E CHE GUARDA AL FUTURO

17-09-2018

Brevi orientamenti pastorali per il nuovo anno pastorale 2018-2019

  1. Un popolo in cammino verso Dio in maniera sinodale

All’inizio di un nuovo anno pastorale è naturale guardare al futuro della nostra comunità diocesana. A quale futuro guardiamo? A quello che si vede attraverso le sfere di cristallo? No. Guardiamo al futuro della nostra comunità fissando lo sguardo su Cristo incarnato nel nostro territorio e che sottopone l’umanità e il cosmo al parto di una nuova creazione. È stando dentro al mistero di salvezza, attuantesi nel nostro tempo – un mistero d’Amore accolto, celebrato, testimoniato -, che possiamo scorgere gli abbozzi secondo cui la nostra umanità è chiamata a compiersi, continuando e rinnovando la gloriosa tradizione ecclesiale di santità (si pensi a santa Umiltà, a san Pier Damiani, al beato Bertoni, alla beata Cimatti) ma anche la tradizione di liberazione e di umanizzazione che hanno fecondato e civilizzato questo territorio. Con riferimento a quest’ultimo aspetto basti ricordare le casse rurali e le cooperative che hanno segnato la vita e l’ethos della nostra gente.

È dal reciproco appello che si fanno continuamente il mistero di salvezza, presente ed operante, e la vita concreta, che emergono per noi indicazioni di costruzione e di riforma della nostra comunità.

Come credenti siamo chiamati a riflettere sul fatto che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. La proposta del Vangelo è più ampia. È la proposta del Regno di Dio, che come discepoli siamo invitati a cercare e a diffondere. Il Regno di Dio si espande nel mondo e, quindi anche nel nostro territorio, quanto più partecipiamo all’opera di ricapitolazione di tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cf Ef 1,10). Quanto più i credenti vivono i loro impegni secondo la mente e il cuore di Cristo, uniti a Lui, in un solo Corpo, tanto più si espande il Regno di Dio; tanto più la nostra vita sociale diventa uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace e di dignità per tutti. Il Regno di Dio riguarda tutto: ogni uomo, tutto l’uomo, il cosmo.

In questo contesto assume un significato predominante l’essere Popolo di Dio, il quale agisce in maniera sinodale e, quindi, presuppone il protagonismo di ciascun battezzato e cresimato, secondo il proprio ruolo e ministero. Il Popolo di Dio è soggetto collettivo e comunitario che sviluppa una nuova evangelizzazione non per preservare se stesso ma per servire meglio il mondo, annunciando e portando la salvezza di Dio – una salvezza integrale – in mezzo ad esso. La nuova evangelizzazione implica, dunque, un nuovo protagonismo di tutti, di tutto il popolo di Dio, compresi i giovani. Proprio per questo, come verrà detto meglio più avanti, si è voluto indire e celebrare il Sinodo dei giovani di cui parleremo a breve. Tutti sono chiamati ad ascoltarsi e ad interagire, a camminare insieme, percorrendo la stessa via, quella della missione, muovendosi nella stessa direzione.1

  1. Alcuni caratteri della prassi ecclesiale e della nostra società dal punto di vista religioso

Si accenna qui ad alcuni aspetti della vita cristiana delle nostre parrocchie. Si tratta di aspetti che, pur non essendo centrali nella vita della fede, rendono il volto della nostra Chiesa meno splendente. Quanto si dirà qui non intende assolutamente oscurare il grande bene che è compiuto, spesso con sacrificio, nelle nostre famiglie e nelle nostre associazioni, e che onora il popolo di Dio della Chiesa di Faenza-Modigliana. Bisogna, però, vigilare, affinché la vita buona non venga nascosta o soprafatta da modalità piuttosto personalistiche ed acerbe, che sono più appariscenti e fanno più clamore del bene di tanti.

La pratica religiosa risulta piuttosto bassa, ed il cristianesimo vissuto da molti è generalmente di un livello minimo dal punto di vista culturale. Spesso è ridotto a cristianesimo rituale, che enfatizza elementi secondari della religiosità, magari con il compiacimento di chi amministra i sacramenti senza una previa ed adeguata preparazione dei destinatari, talvolta animati da visioni magiche o superstiziose. Si dà, da parte di alcuni fedeli, eccessiva importanza alle cose esteriori, come alla disposizione delle sedie, al tipo del foglietto domenicale, al punto che se non si cambia quanto deciso dai responsabili della comunità, alcuni fedeli minacciano di migrare in un’altra parrocchia. Importa di meno il rispetto per il proprio parroco, la carità nei confronti delle persone, la crescita in una fede solida, ben fondata, che punta a ciò che è essenziale e fondamentale per la propria salvezza. Non raramente non si comprendono i necessari avvicendamenti dei parroci e, talvolta, li si incoraggia all’infedeltà rispetto alle promesse fatte ai loro vescovi. Non si riesce, poi, a vedere in non poche persone la capacità di gerarchizzare l’importanza delle cose. È più importante l’averla vinta su cose banali nei confronti del proprio parroco, che chiede magari di cambiare un orario della santa Messa per armonizzarlo con quello delle parrocchie vicine, piuttosto che rimanere nella propria comunità in maniera costruttiva, capendo che quanto viene richiesto non è così influente sull’amore a Gesù Cristo, sull’appartenenza al suo Corpo mistico.

Non va dimenticato, poi, che siamo in presenza di una società e di una cultura particolarmente laicizzate e povere di trascendenza, cosa che finisce per indebolire la stima per la dignità della persona. La mentalità e il costume prevalenti sono quelli di una società ampiamente consumistica ed edonista. Lo attestano, ad esempio, la bassa natalità, l’alta percentuale degli aborti, il calo della nuzialità, la diffusione della tossicodipendenza e dei suicidi. Una particolare riflessione, in ordine all’attitudine della nostra società ad affrontare il futuro sembra richiesta proprio dall’andamento demografico: la scarsità delle nascite e il conseguente invecchiamento della popolazione si traducono fatalmente in stanchezza sociale e in poca capacità innovativa, sia fuori della chiesa come nella chiesa, proprio quando una tale capacità diventa più necessaria. L’indebolimento della famiglia rende l’educazione più difficile. L’organizzazione della vita in genere mette in crisi la stabilità psicologica delle persone, accentua la loro solitudine, nonostante si sia immersi in un mondo di comunicazioni e di messaggi rassicuranti.

  1. Alcune esigenze primarie dell’evangelizzazione, dell’inculturazione della fede

Una delle esigenze primarie è l’urgenza di una rinnovata presenza missionaria. Il suo slancio e il suo ardore dipendono, come è ben noto, primariamente dalla fedeltà al dialogo con Dio, dalla preghiera liturgica ed individuale, dall’aprirsi al dono dello Spirito. Ma la sua fecondità pastorale è strettamente congiunta con un’opera prettamente comunitaria, corale. E così non si può non ribadire la necessità di diventare sempre più un popolo sinodale. Un cristianesimo puramente individuale non è l’autentico cristianesimo di Gesù Cristo. In secondo luogo, dipende dalla crescita di una profonda e chiara coscienza di verità circa la persona, la società e Dio. Una tale coscienza di verità è fondamentale per rendere ragione della propria fede, oggi sottoposta incessantemente alla pressione di orientamenti culturali di tipo libertario ed utilitaristico. In terzo luogo, dipende da una rinnovata catechesi degli adolescenti, dei giovani e degli adulti, una delle poche vie ancora rimaste che consente di rafforzare l’educazione alla verità sull’uomo, sulla società e sulla storia come via ove la verità è coniugata con l’amore. La Chiesa è una comunità che vive ed opera in un Corpo in cui è centrale la ricezione, la celebrazione e la testimonianza di un Amore pieno di Verità (Caritas in veritate). In vista di una catechesi più incisiva e di catechisti meglio preparati la nostra Diocesi ha costituito una Commissione che sta studiando gli itinerari catechistici delle nostre comunità parrocchiali. Ringraziamo mons. Antonio Taroni che presiede una tale Commissione con impegno e dedizione. Inoltre, si è voluto istituire un quinto Ciclo di formazione teologica e pastorale, a complemento dei quattro cicli abituali, in vista del loro approfondimento e dell’aggiornamento incessante delle varie componenti ecclesiali. La sua articolazione e i suoi obiettivi sono stati inseriti nel Calendario pastorale 2018-2019 alle pagine 31-33, ma vengono riportati anche più avanti.

Nel nostro contesto socio-culturale, in cui buona parte della popolazione ha perso da tempo contatto con la Chiesa, una delle vie più feconde della pastorale missionaria è senza dubbio, anche se più ardua da percorrere per la diminuzione dei presbiteri e di laici che li aiutano, l’accompagnamento personale e spirituale, come anche la pastorale famigliare, sia nei suoi traguardi sacramentali sia nelle sue circostanze ordinarie e quotidiane.

In vista di una Chiesa in grado di raggiungere le persone nei loro ambienti di vita e di lavoro occorre senz’altro recuperare la pastorale sociale e del lavoro nelle imprese, nelle associazioni professionali, come anche occorre ripristinare le figure degli assistenti spirituali. Talvolta al posto di presbiteri che sono sempre più rari bisognerà preparare gli stessi laici affinché garantiscano nelle loro associazioni il mantenimento dell’ispirazione cristiana.

In una società ipercomplessa, nella quale è in discussione il concetto stesso di uomo e i valori etici che reggono la convivenza, una primaria necessità pastorale è la riproposta, con un linguaggio trasparente, facile ma non banalizzante, dei contenuti fondanti dell’antropologia cristiana, creando cultura a partire da essi. Ciò diventa sempre più urgente in un contesto multireligioso e multiculturale, in cui i credenti, anche per il fenomeno delle immigrazioni, sono chiamati al confronto con altre fedi, senza rinunciare alla propria identità.

  1. Il rilievo pastorale della scuola cattolica

Credo che nella nostra Diocesi, sarebbe perdente dal punto di vista dell’educazione alla fede, l’indebolimento e la chiusura delle scuole cattoliche. La scuola rappresenta anche oggi la principale istituzione attraverso cui i ragazzi e i giovani ricevono la propria formazione culturale. La presenza di docenti, studenti e genitori cattolici nelle scuole e nelle Università di Stato dev’essere sempre sollecita all’educazione integrale della persona. In vista di ciò non è assolutamente da trascurare l’insegnamento della religione, preparando adeguatamente i docenti, oltre che dal punto di vista dei contenuti da trasmettere, anche dal punto di vista didattico e relazionale.

La scuola cattolica, con la specificità del suo progetto educativo fondato sul Vangelo, diventa nella presente situazione, proprio nel momento in cui crescono le difficoltà per essa, sempre più necessaria. Essa deve essere aiutata a migliorare in qualità e quantità il proprio servizio alle famiglie e ai giovani, alla società e alla comunità ecclesiale. È, in proposito, urgente la sollecitudine per un’effettiva libertà e per una sostanziale parità scolastica, da parte di tutta la comunità cristiana e di ogni persona, organismo o istituzione, cui stia a cuore una genuina democrazia e un reale pluralismo. In vista del sostegno alle nostre scuole cattoliche si è pensato di istituire un’équipe di persone competenti in modo da fornire un supporto sul piano amministrativo, legale e pedagogico. Naturalmente ciò non può essere davvero utile senza la collaborazione dei parroci, che normalmente sono i rappresentanti legali delle scuole e ricoprono responsabilità anche economiche.

Si potrebbe certamente continuare nella considerazione della situazione in cui si trova la nostra Diocesi e di ciò che sarebbe necessario mettere in campo per una nuova spinta missionaria, coinvolgente tutte le componenti ecclesiali, anche con riferimento all’impegno politico dei cattolici, che da noi hanno espresso una significativa tradizione di presenza sociale e politica. A riguardo, può tornare utile la lettura del saggio Cattolici e politica pubblicato dal sottoscritto e che, a tutti gli effetti, rappresenta una nota pastorale sul tema, per sé equivalente ad una Lettera pastorale per la Diocesi. Il saggio è stato pubblicato dalla Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa ed è disponibile in Curia.

Qui ci fermiamo per concentrare l’attenzione sul necessario rinnovamento della pastorale vocazionale e giovanile – e, connesso ad esso, della pastorale sociale e della comunicazione – su cui il Sinodo dei giovani che stiamo per celebrare ha voluto essere imperniato.

All’inizio del nuovo anno pastorale mi preme, allora, in continuità col discorso fatto sin qui, accennare alla sfide pastorali che stanno emergendo per la nostra Diocesi, a partire dalla considerazione del Report approntato dallo IUSVE dell’Università salesiana di Mestre-Venezia.

  1. Sfide pastorali emergenti per la Chiesa di Faenza-Modigliana dal Report di ricerca

La celebrazione di un Sinodo implica, tra i suoi atti principali, l’ascolto, prima di tutto dei giovani, e, insieme, delle altre componenti. Una prima modalità di ascolto dei giovani si è realizzata, mediante più azioni di ricerca, accompagnate da iniziative di riflessione, preghiera, esperienze comunitarie, incontri con giovani lontani, pellegrinaggio a Roma per incontrare papa Francesco.

La prima azione di ricerca si è concretizzata in una survey telefonica condotta dalla società specializzata Demetra Opinioni S.r.l., che ha coinvolto un campione rappresentativo dei giovani 18-34enni del territorio romagnolo. Il campione è stato stratificato per genere, per età e per zona di residenza.

La seconda operazione di ricerca ha riguardato l’effettuazione di tre focus group di natura esplorativa svolti nel mese di giugno, dedicati ad approfondire i dati raccolti con l’indagine telefonica e altri nuclei non sufficientemente dettagliati da quest’ultima. I focus group sono stati organizzati con il fattivo supporto della diocesi di Faenza-Modigliana, e hanno coinvolto studenti (primo focus group), lavoratori (secondo focus group) ed educatori parrocchiali (terzo focus group). Davide Girardi ha curato la progettazione delle guide dei focus group, nonché la loro conduzione come moderatore; nell’effettuazione dei focus group hanno collaborato Alessandra Mozzon ed Elisa Cardoni, in qualità di osservatrici, che hanno curato anche la trascrizione delle registrazioni audio.

La terza operazione di ricerca si è svolta mediante un’indagine snow ball curata e condotta dalla diocesi di Faenza-Modigliana nell’ambito del territorio diocesano di riferimento. L’indagine ha impiegato le reti parrocchiali e diocesane ai fini del raggiungimento di giovani 18-34enni, cui è stato proposto un questionario cartaceo autosomministrato. Sempre Davide Girardi ha curato la progettazione del questionario (con l’ausilio di Marco Scarcelli limitatamente alla sezione dedicata ai temi dell’affettività) e l’elaborazione dei dati raccolti. L’operazione di data entry è stata effettuata da Elisa Cardoni, Michele Cosi, Alessandra Mozzon, Martina Tinè e Valentina Vanin.

Il Progetto di ricerca e il Report agosto 2018, a cura di Davide Girardi (IUSVE), saranno pubblicati a parte. Qui ci si limita, a conclusione delle valutazioni svolte a partire dai dati emersi, a focalizzare le principali sfide pastorali ed educative che attendono la nostra Chiesa locale. Esse vengono raccolte secondo le aree di lavoro dello stesso Sinodo diocesano: Chiesa e giovani; vocazione e giovani; missione e giovani; società e giovani. Tali sfide rappresentano traiettorie di marcia per il lavoro sinodale, ma anche per la pastorale abituale delle nostre comunità ed associazioni.

    1. Chiesa e giovani

Dalle ricerche messe in campo risulta che il numero dei giovani nella nostra Diocesi che frequentano e sono impegnati nella comunità ecclesiale non è, in definitiva, elevato. Si tratta di una porzione, tutto sommato, limitata. Per poterli accompagnare e conoscere meglio, in vista della loro crescita quali «costruttori» di Chiesa e di una società fraterna e giusta, è fondamentale considerarli non separati dai giovani che si dichiarano esplicitamente atei o indifferenti. E questo per varie ragioni. Innanzitutto, perché i giovani che sono più assidui nella comunità ecclesiale vivono coordinate utili a leggere il mondo dei giovani che sono maggiormente lontani. In secondo luogo, perché tutti i giovani, compresi i credenti, non sono alieni, specie in una società multireligiosa e fluida, dal rimodellare il loro rapporto col sacro, al di là del loro impegno attuale.

Al lato pratico, per la Chiesa di Faenza-Modigliana si profila il compito di valorizzare sempre più i giovani sinodali o impegnati nelle comunità cristiane quali «protagonisti» e «antenne» della complessità religiosa contemporanea. «Protagonisti» perché la complessità, come accennato, permea le loro stesse esistenze e non riguarda solo chi sta presuntivamente «fuori»: una complessità che di frequente è innescata e ravvivata dalle persone con le quali loro stessi interagiscono; «antenne» perché, per il loro tramite, la Chiesa locale mantiene la possibilità di essere «sul confine», di essere continuamente e virtuosamente interpellata dalle istanze che il contesto di riferimento presente e futuro continuerà a sollecitare. I giovani possono e devono essere annunciatori e testimoni per i loro coetanei.

Ma come rendere i giovani più attivi e partecipi nella Chiesa e nella società?

Le difficoltà relative all’approccio coi giovani e col loro mondo potranno essere superate non assolutizzando la datità dei referti delle interviste e dei questionari, dei focus group, elementi senz’altro utili per leggere la situazione ma non sufficienti, bensì scegliendo un modus operandi, ovvero una modalità costante di presenza e di vicinanza ai giovani, per aiutarli a costruire le loro traiettorie di vita. Occorre che presbiteri, guide spirituali, educatori, animatori «stiano in mezzo» ai giovani, alle loro esperienze vissute. In che maniera? Ascoltandoli, comprendendo la complessità e le contraddizioni che talora vivono, senza esprimere su di essi giudizi trancianti, affrettati e aprioristici. I giovani non rifiutano gli adulti, coloro che sanno affiancarsi e accompagnarli, i loro consigli. Rifiutano coloro che, senza conoscerli e senza essere in confidenza con loro, pretendono di imporre i propri punti di vista, di incasellare la loro vita entro schemi precostituiti, calandoli dall’alto. Sono «allergici» di fronte a forme «preconfezionate» della fede. Detto altrimenti, la Chiesa di Faenza-Modigliana crescerà come Chiesa giovane, Chiesa di giovani, attivi e protagonisti nella missione e nella testimonianza, se saprà, con i suoi presbiteri, diaconi, animatori, catechisti, educatori, «stare in mezzo» ai giovani di oggi, stare con loro, per loro. Detto con altre parole ancora, se saprà educare alla vita piena, a partire da una vicinanza continua, col cuore in mano. Non va mai dimenticato, in proposito, l’affermazione di san Giovanni Bosco, ben conosciuto nella nostra Diocesi, e cioè che l’educazione è una questione di cuore, di dedizione assidua. Don Bosco soleva ripetere ai suoi giovani che viveva per loro, soffriva con loro, studiava e lavorava per loro. I giovani devono percepire che sono amati e che rappresentano per le famiglie, la Chiesa, la società, un grande tesoro, senza di cui viene meno il futuro, parte del senso della vita di una comunità.

    1. Vocazione e giovani

Un’altra area di lavoro del Sinodo è relativa al tema della vocazione. Secondo il Report citato, alla Chiesa di Faenza-Modigliana non deve sfuggire che il termine «vocazione», avente una valenza prettamente religiosa, è di difficile comprensione per i giovani di oggi. Peraltro, il sostrato entro cui il concetto di «vocazione» dovrebbe fiorire, risulta essere piuttosto ristretto. Infatti, per la maggioranza dei rispondenti, le «questioni religiose» hanno un rilievo limitato o scarso. Sul tema della vocazione si pone, in definitiva, un problema di approfondimento e di comunicazione. Perché il discorso religioso e la fede possano ispirare ed accompagnare le scelte di vita dei giovani, e non apparire estranei ad esse, sarà necessario fare leva, prima ancora che sul ragionamento, senz’altro importante e imprescindibile, anzitutto sull’autorevolezza della testimonianza credibile degli adulti, sull’empatia nei loro confronti. Come affermava il beato Paolo VI, che ad ottobre verrà canonizzato, nell’ambito dell’educazione alla fede bisogna contare di più sui testimoni anziché sui maestri, che sono sì necessari ma in subordine all’esperienza religiosa. Più che sul linguaggio verbale bisognerà investire, per conseguenza, sul linguaggio della vita, delle opere.

Per un altro verso, la Chiesa è sollecitata da un numero minoritario di giovani, i quali pongono un confronto costante tra questioni religiose e scelte di vita, a spendersi sui temi della famiglia, dell’affettività, della professione, meno sull’ambito pubblico (la politica). Su quest’ultimo aspetto si ritornerà più avanti. Per i giovani la dimensione intima è centrale, perché attorno ad essa vedono ruotare domande radicali. E, quindi, anche da questo punto di vista, è richiesto alla comunità ecclesiale, ai gruppi e alle associazioni, ai presbiteri e ai diaconi un costante accompagnamento spirituale ed educativo. Occorre, a fronte della disponibilità dei giovani, altrettanta disponibilità da parte dei presbiteri, dei genitori, degli educatori, dei catechisti e degli animatori ad incontrare, a diventare amici e guide sicure per il loro cammino.

Alla luce di questi dati derivano per la Chiesa almeno due impegni da non eludere, se si tiene al suo futuro:

a) l’urgenza di essere vicini e disponibili per i giovani che domandano accompagnamento e che segnalano spesso l’assenza degli adulti. Preparare dei giovani a coniugare la fede con le scelte di vita, anche quelle concernenti la dimensione più «intima» e personale può diventare una precondizione indispensabile per poter contare su credenti capaci di rendere ragione della propria ispirazione profonda e della propria coerenza presso quei giovani che non colgono il nesso inscindibile tra religione e vocazione;

b) mostrare che la fede è consustanziale con la quotidianità di ciascuno e che la vocazione cristiana è in grado di interloquire con tutte le dimensioni dell’esistenza, donando a loro un senso più profondo e compiuto.

Dentro l’alveo della vocazione cristiana si colloca ogni vocazione umana, tutti gli impegni, non solo quelli concernenti la famiglia e l’affettività, bensì anche il lavoro, la vocazione al sociale, al bene comune, ovvero alla politica. Una comunità che voglia pensare al proprio futuro in un territorio, rispetto a cui dev’essere lievito, non può rinunciare all’evangelizzazione della politica, quale luogo di testimonianza della carità di Cristo, che redime tutto l’uomo, ogni uomo, le società. Se la politica viene lasciata a se stessa, significa che i credenti rinunciano a considerare il bene comune una loro vocazione, sia in quanto cittadini sia in quanto cristiani.

    1. Missione e giovani

Anche il termine «missione», altro ambito di riflessione del Sinodo diocesano, per scelta non è impiegato direttamente nelle domande e nei questionari perché non facilmente comprensibile al maggior numero possibile di giovani. Si è, allora, preferito renderla nei termini di «impegno a favore degli altri», pur nella consapevolezza che ciò non rende giustizia in modo pieno alla vocazione religiosa e missionaria del credente. Stando al dato emergente, e cioè che la maggior parte dei giovani ritiene di sentirsi impegnata a favore degli altri, si può affermare che esiste una diffusa «grammatica dell’impegno» sulla quale la nostra Chiesa locale può far leva. A partire, più specificatamente, da cosa? Dalla quotidianità «impegnata», considerata come uno spazio ampio in cui si esplicano le molteplici attività umane, a partire dal lavoro, dal volontariato, dalle attività formative e culturali, artistiche, dalle responsabilità sociali e pubbliche. La «grammatica dell’impegno» può essere, allora, fertile e seminale per una più puntuale attenzione alla chiamata cristiana nel senso di una missione che, vissuta in Cristo, include tutti gli impegni per gli altri e per la società. La missione, intesa in senso strettamente religioso, non esclude gli impegni per gli altri, bensì li comprende, li vivifica, inserendoli in un contesto più vasto e trascendente. Nel contesto della fede, la vita cristiana si modula come missione di un’esistenza che partecipa a quella di Cristo, presente nella storia, al fine di ricapitolare in sé tutte le cose, ordinando ogni azione al rinnovamento del mondo, mediante la forza trasfiguratrice dello Spirito d’amore di Dio Trinità. Su questo piano le nostre comunità parrocchiali e le nostre associazioni sono chiamate a spendersi maggiormente affinché i giovani possano comprendere che essere di Cristo implica il divenire partecipi della sua missione. Chi vive Cristo, il missionario per eccellenza del Padre, non può non essere, a sua volta, missionario, ossia una persona che ha il mandato di annunciare e testimoniare l’amore del Padre. Come ha spiegato papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium «la missione è una passione per Gesù, ma al tempo stesso una passione per il suo popolo».2 Essere missionari, dunque, non è solo un atto di eroismo da compiere in un Paese lontano, ma amare intensamente Gesù Cristo anzitutto nella quotidianità, vivificandola con il suo Spirito trasfigurante. Gesù ci prende in mezzo alla nostra gente e ci invia ad essa, oltre che a tutti gli uomini della terra.

Con riferimento al dato che conferma come la maggioranza dei giovani si senta impegnata per gli altri, da parte della Chiesa occorre, in particolare, una precisa attenzione alle motivazioni che li ispira. Se, ad esempio, l’operare per gli altri fa bene al proprio «io», com’è legittimo, e fa sentire le persone più in pace con se stesse e «utili» al prossimo, occorre vigilare perché i giovani non si rinchiudano nel cerchio di emozioni di tipo individualistico, unicamente protese al benessere individuale, ad una felicità «corta», tendenzialmente di piccolo cabotaggio. L’amore per gli altri non deve essere inteso come una mera via di benessere utilitaristico, quanto piuttosto l’autostrada di una felicità più grande, aperta alla capacità di amare di Dio, per Lui. La precondizione di una felicità che trascende l’umano è che l’impegno per l’altro sia aperto ad un dono disinteressato di sé, di modo che l’altro sia amato in se stesso, non solo per se stesso, bensì in Dio. L’impegno per gli altri dev’essere vissuto secondo virtù, specie la virtù teologale della Carità. Pertanto, la direttrice fondamentale dell’educazione alla fede deve portare in sé la connotazione dell’amore trinitario, di una «missione» divina.

    1. Società e giovani

A proposito del binomio società e giovani il Report sollecita la nostra Chiesa locale a lavorare intensamente per connettere la dimensione individuale e la dimensione comunitaria delle persone, superando la discontinuità che spesso si pone tra di esse. Dalle domande e dalle interviste emerge, infatti, che nonostante ci si senta impegnati per gli altri, non si sperimenta una particolare stima per l’impegno politico. Si tratta di un’anomalia che richiede particolare attenzione, sino alla cura assidua della dimensione sociale della fede di cui ci ha diffusamente parlato papa Francesco nel IV capitolo della Evangelii gaudium. Infatti, non appare ragionevole come un impegno sincero e spassionato per gli altri non sfoci naturalmente nella cura del bene comune, il bene di tutti. Solo la connessione dei due livelli, individuale e collettivo, potrà aiutare i nostri giovani a non rinchiudersi nel «piccolo è bello», a non vivere in sé una sorta di compartimenti stagni tra personale e pubblico, tra fede individuale e impegno politico.

In vista di ciò occorre approntare momenti formativi che abilitino, mediante esperienze e adeguate riflessioni su di esse, a rispondere alla vocazione al bene comune. Ma vanno superate anche quelle precomprensioni che contrappongono una fede vissuta in termini quasi privati, avulsa dal contesto della vita ecclesiale comunitaria, disgiungendo l’esperienza religiosa personale da quella della comunità, nella comunità. La dimensione individuale, come anche la «personalizzazione» della proposta cristiana, oggi particolarmente sentita, non debbono ignorare che la fede è sempre comunitaria, ossia una fede che nasce e cresce nella comunità, partecipando responsabilmente alla comunione e alla vita del Corpo di Cristo. Così, occorre aiutare a superare una certa «allergia» per ciò che viene espresso dall’autorità religiosa, che ha la responsabilità di confermare la fede e di mantenere e coltivare l’unità della comunità. A tal fine, diventa fondamentale che cresca nel vescovo, nei presbiteri, e nei formatori la capacità di motivare, di «dar conto» di quanto viene insegnato e indicato come orientamento pratico che traduce nella storia le esigenze del Vangelo. Nella comunità ecclesiale non deve venir meno l’obbedienza della fede, che ovviamente non esenta dal vivificare significati e simboli che fanno parte del percorso della formazione cristiana. La fede del cristiano non è una fede «fai da te». Cresce mentre si edifica l’edificio della propria esistenza poggiando sulla roccia che è Cristo e sul fondamento dei successori degli apostoli.

  1. Pastorale vocazionale e giovanile, pastorale sociale: dimensioni strutturali della comunità ecclesiale

L’evento del Sinodo dei giovani è momento importante per la nostra Chiesa diocesana, perché esprime la natura della comunità ecclesiale e i suoi impegni pastorali intrinseci. Il Sinodo, che è stato preparato da un anno, e verrà aperto solennemente alla fine del prossimo settembre 2018, sarà celebrato attraverso incontri di riflessione e di condivisione e, inoltre, verrà attuato nelle sue linee direttive nei prossimi anni, non è da considerarsi un episodio saltuario, quasi una parentesi di vita intensa, di un cammino fatto insieme, iniziato e destinato a finire. Si tratta di un’esperienza significativa, sia pure eccezionale per il coinvolgimento di tutta la Diocesi, ma che rivela dimensioni costitutive e permanenti della sua missione. Il Sinodo è evidenziazione e tematizzazione di un’alleanza tra comunità ecclesiale e giovani, i quali più che chiedere spazi al suo interno, domandano il riconoscimento esplicito del loro compito di evangelizzatori e di testimoni. Finché i giovani sono considerati solo come destinatari e non protagonisti dell’annuncio del Vangelo vi è il grande rischio di perderli per sempre rispetto alla missione della Chiesa, specie nei confronti dei loro coetanei. La comunità non può tenerli in panchina per troppo tempo, per assistere sconsolata alla loro partenza dopo la Cresima. Nella comunità ecclesiale occorre mobilitarsi per tempo affinché si strutturi una vita condivisa con loro, un impegno assiduo per la loro responsabilizzazione, per confermare e far crescere la loro fede. Di che si tratta? Bisogna attivare seriamente una pastorale vocazionale e giovanile, nonché una pastorale sociale che vengono organizzate per favorire l’entrata dei giovani nella vita adulta della fede. Dobbiamo riconoscere, però, che una pastorale vocazionale relativa ai giovani, come anche una pastorale giovanile esistono soltanto con i giovani. Ossia solo se ci si colloca dalla parte dei giovani, senza considerarli con commiserazione e paternalismi, bensì come soggetti portatori di potenzialità incredibili di futuro e di speranza; solo se li si incontra, si parla con loro, li si comprende. Spesso i giovani vengono declassati ad una «generazione di mezzo» e, quindi, vengono trascurati e lasciati a se stessi. Forse, nell’odierno spostarsi in avanti delle scelte dei giovani, dovremo ripensare al tempo in cui la Cresima viene amministrata, perché sia vissuta dai nostri giovani con maggior consapevolezza. Tuttavia, non possiamo tardare a consolidare l’organizzazione e l’impiantazione o radicazione delle pastorali vocazionale e giovanile, nonché sociale, nelle nostre comunità parrocchiali. Dovrà senz’altro corrispondere a questo impegno una catechesi dei giovani e degli adulti più convinta e sistematica. Il lavoro che attende non è semplice e non concerne una sola componente ecclesiale. Non va dimenticato, poi, che la pastorale giovanile, seppure deriva dalla catechesi e non può non avere connessioni con essa, è una realtà distinta. La pastorale giovanile è specificamente legata ai giovani, alla loro rilevanza per la Chiesa e la società, al loro particolare modo di vivere e di credere, in quel momento di transito decisivo per scegliere e configurare la propria identità e passaggio all’età adulta.3 Essa è più in chiave prevalentemente missionaria piuttosto che una mera continuazione degli itinerari catechetici di iniziazione cristiana.

L’esperienza del Sinodo che stiamo vivendo come un camminare insieme di più componenti ecclesiali sta facendo emergere che la pastorale vocazionale e giovanile, come anche la pastorale sociale, non sono una particolarizzazione o una diminuzione della missione della Chiesa, quasi un suo rimpicciolimento. Sono, invece, un partecipare alla sua dimensione universale. Il Sinodo ci sta dando l’opportunità di toccare con mano che tali pastorali sono parte costitutiva della Chiesa intera. Non sono settori separati dal resto dell’evangelizzazione e dell’impegno apostolico. Pertanto, non vanno considerati attività di pochi, per pochi. Esse sono di tutta la comunità, di tutti i credenti, di tutte le associazioni e le aggregazioni. Da ultimo, il Sinodo dei giovani ci sta consentendo di capire il senso complessivo della pastorale della Chiesa. Essa non è a scomparti separati, bensì un insieme organico e integrato. Lo esige l’unitarietà della missione e della vita dei destinatari.

  1. Crescita della pastorale della comunicazione in modo strutturato e diffuso

Lo stare in mezzo ai giovani ci ha messo di fronte, ancora una volta, a una realtà sociale ed ecclesiale che si trasforma e cresce anche mediante la comunicazione, i mass media e i social media. Infatti, i nostri giovani sinodali hanno comunicato tra loro con i nuovi mezzi di comunicazione più che con quelli «tradizionali», utilizzati abitualmente dagli adulti.

La preparazione del Sinodo dei giovani è stata un’occasione per riflettere più attentamente sulla comunicazione della e nella Chiesa. Ne sono venute sollecitazioni per la riflessione teologica, l’attitudine educativa e la progettazione pastorale. A questo proposito, va anzitutto evitato il rischio di pensare che il problema della comunicazione della fede e del Vangelo, sia nella Chiesa sia nella società, si riduca al mezzo, al linguaggio, alle nuove tecnologie digitali, perdendo di vista l’essenziale, ossia la testimonianza credibile di Cristo.

La questione della comunicazione della Chiesa e nella Chiesa va oltre l’uso dei nuovi strumenti massmediatici. È indispensabile abitarla, lo starci dentro con intelligenza e creatività, investendo sull’educazione ai media digitali. Occorre convincersi, sempre più, che c’è bisogno di una formazione permanente dei presbiteri, dei diaconi e dei laici su come comunicare, da come preparare un’omelia, un incontro catechetico, di educazione alla fede, sino ad una presenza informata e responsabile nel web e sui social. Allo stesso modo occorre pensare ai giornalisti dei media diocesani perché siano professionalmente capaci oltre che animati dalla fede.

Il tempo attuale e il futuro prossimo devono, pertanto, configurarsi come momenti di un lavoro assiduo nella preparazione di condizioni per una nuova cultura della comunicazione nel servizio pastorale. Tra gli obiettivi minimali dev’esserci quello di potenziare i servizi di collegamento e condivisione tra le parrocchie e la diocesi. La prospettiva generale è rappresentata da una graduale transizione da una concezione dei media a meri strumenti che offrono l’opportunità di comunicare e di lavorare dovunque e in qualsiasi momento (tecnologie della distanza o pastorale 1.0), a media che sono e realizzano ambienti e luoghi sociali (tecnologie di gruppo o pastorale 2.0), a media come tecnologie di comunità (pastorale 3.0).

In questa prospettiva i media non rappresentano più solo un’opportunità per annullare le distanze, quanto piuttosto una risorsa per consentire alle persone di comunicare meglio, anche quando sono in presenza, e di perfezionare le relazioni di comunità. L’idea delle tecnologie di gruppo, ha affermato Cesare Rivoltella nella sua relazione alla Conferenza Episcopale Italiana, 71.a assemblea generale (Roma, 21-24 maggio 2018) si modula a servizio delle persone e di una più ricca ed autentica relazione: «la rete diviene un’estensione on line della comunità presenziale e fornisce a quest’ultima strumenti per prolungare e rendere più proficuo il proprio incontrarsi. È il caso di un gruppo di WhatsApp che io scelga di appoggiare alla mia aula di catechesi: uno spazio che possa servire a condividere gli orari degli incontri, i contenuti del cammino, le riflessioni dei singoli membri. Ma è anche il caso di un uso di Twitter che mi porti a iniziare la giornata diffondendo tra i giovani della mia parrocchia il santo del giorno, un versetto del Vangelo, un proposito da fare proprio durante la giornata, o dell’adozione di un profilo o di una pagina in Facebook. E anche Skype, Hangout, o altri strumenti di videocomunicazione rispondono alla stessa logica»: ad esempio, tenere uniti i giovani del vicariato, generare uno spazio di condivisione bidirezionale dove l’obiettivo non è tanto abbattere le distanze, quanto piuttosto quello di favorire lo scambio e il confronto. «Dal punto di vista culturale si tratta di una comunicazione inclusiva che attiva arene di circolazione primarie del significato in cui centrale è – ha aggiunto il prof. Cesare Rivoltella – l’interazione tra chi comunica e la sua cerchia. È questo lo spazio di quella che possiamo chiamare pastorale 2.0: essa passa per un’esperienza decisamente più orizzontale e partecipata, convoca e responsabilizza, interpreta di sicuro in modo più preciso ed efficace lo specifico dei media digitali e sociali valorizzandone le funzioni di condivisione (sharable media) e autorialità. Il destinatario è reso attivo, viene chiamato a essere parte di una comunicazione a due vie in cui non è detto che debba sempre fare la parte di chi riceve. In questa prospettiva di sicuro la comunicazione della Chiesa riesce meglio a intercettare e a incarnare lo specifico comunicativo dei nuovi media, ma non significa ancora che con questo riesca ad aprirsi a una prospettiva decisamente missionaria. Le tecnologie di gruppo sono a somma zero dal punto di vista della loro capacità di estendere il numero dei destinatari della comunicazione: consentono di aumentare l’interazione con coloro che già incontro in presenza, non di arrivare ad altri con il Messaggio».

Ma le tecnologie di gruppo sono chiamate a sfociare nelle tecnologie di comunità: la pastorale 3.0, come si accennava sopra. Mediante ciò la Chiesa prende atto del fatto che i media sono diventati ciò che favorisce le connessioni tra le persone, che essi sono parte integrante delle nostre vite e del modo in cui in esse costruiamo e manteniamo relazioni e che questo ci fa rendere conto di come l’uomo sia straordinario quando «si collega» agli altri, inutile se rimane da solo, proprio come una stampante senza connessione. I media digitali e sociali possono favorire la crescita del vivere comunitario. «Si tratta – si legge sempre nella sopracitata relazione di Rivoltella – di un’idea controintuitiva. Quello che normalmente si pensa, infatti, è che queste tecnologie funzionino esattamente al contrario: siano, cioè, dei dispositivi attraverso i quali le persone tendono a isolarsi e, di conseguenza, i legami sociali si allentino fino a dissolversi. Invece, parlare di tecnologie di comunità significa fare riferimento alla capacità della tecnologia di (ri)costruire la comunità. Penso all’esperienza fatta qualche anno fa da Don Paolo Padrini, il sacerdote della diocesi di Tortona che ha inventato i-Breviary. Don Paolo monta una web-cam sul pulpito della sua chiesa e trasmette la Messa in streaming video. Dei giovani operatori pastorali si recano presso le case degli anziani o degli ammalati, con un computer portatile. L’obiettivo è chiaro: consentire a chi non può recarsi in Chiesa di seguire la Messa, non quella televisiva di Rai o Mediaset, bensì quella della sua comunità, celebrata dal suo parroco. L’operatore (vero e proprio tutor di comunità) entra nelle case, comunica con le persone; così facendo incontra i familiari, il vicinato; la sua presenza funziona da catalizzatore, nella casa si raccoglie una piccola comunità; grazie a questo entrano (o rientrano) in contatto con la liturgia anche persone che lo avevano perso. La comunicazione che si allestisce, qui, è partecipativa: si rivolge certo all’anziano o al malato (arena di circolazione primaria), ma attraverso di lui alla sua famiglia e ai vicini (arena di circolazione secondarie) e soprattutto mira all’attivazione di arene di circolazione periferiche aperte e gestite da ciascuno di loro. Diversi anni prima, in netto anticipo sullo sviluppo di Internet e dei media digitali e sociali, aveva avuto la stessa intuizione il cardinal Martini lanciando l’idea della catechesi radiofonica in Quaresima e Avvento, dove la cosa interessante non era tanto la possibilità di far giungere a tutti la voce del vescovo, quanto piuttosto la possibilità di attivare nei punti di ascolto delle logiche di riattivazione del legame tra le persone: la radio come tecnologia di comunità».

«Credo che lo specifico di una pastorale 3.0 stia proprio nella capacità di riarticolare il rapporto tra dentro e fuori la Chiesa attivando insieme tutte e tre le arene di circolazione dei significati, comprese quelle periferiche, che sono quelle più lontane, quelle che di solito rimangono tagliate fuori dalla nostra comunicazione intenzionale. Come si capisce, qui è superata la logica trasmissiva della pastorale 1.0 e integrata quella gruppale della pastorale 2.0. La pastorale 3.0 è quella che meglio riesce a interpretare il senso dei media digitali e sociali come spreadable media (Jenkins, 2009), cioè come media capaci, grazie alla loro pervasività e fluidità, di esplodere fuori dei propri confini, diffondersi in tutte le direzioni ed essere generativi di relazioni. La comunicazione generativa è la comunicazione che meglio si adatta a una Chiesa dei carismi, una Chiesa “in uscita” che fa della vocazione missionaria il proprio specifico. E, infatti, lo Spirito è spreadable, effusivo: con l’immagine del Manzoni, nella Pentecoste, è “come la luce rapida”, che “piove di cosa in cosa e i vari color suscita ovunque si riposa”».

  1. I nuovi assistenti del servizio religioso all’ospedale. Il nuovo regolamento

Do qui alcune informazioni essenziali circa alcune decisioni prese per migliorare il servizio religioso presso l’ospedale civile.

Il 15 agosto scorso don Antonio Samorì ha concluso il suo incarico di assistente religioso dell’Ospedale di Faenza. Nuovo coordinatore del servizio di assistenza religiosa presso il Presidio ospedaliero di Faenza è stato nominato il diacono Cristian Fabbri che ha il compito di visitare gli ammalati nei diversi reparti. Inoltre, don Verdiano Foschini collaborerà per il servizio diurno. Il servizio notturno e l’amministrazione dei sacramenti saranno curati dai Rev.di don Teophile Netupete e don Luca Ravaglia, secondo i turni predisposti in accordo con l’Ausl.

Gli orientamenti pastorali e il regolamento dell’assistenza religiosa ospedaliera

Il 6 agosto scorso ho approvato gli orientamenti pastorali e il regolamento dell’assistenza religiosa ospedaliera.

Regolamento

  1. Nel padiglione ospedaliero di Faenza il coordinamento è affidato ad un chierico o ad un laico. Il coordinatore ha il compito di garantire il servizio coinvolgendo i Pastori propri dei degenti o altri Presbiteri per i casi urgenti e per armonizzare l’assistenza spirituale sul territorio. Il coordinatore può essere affiancato da uno o più coadiutori incaricati dal Vescovo.

  1. Il Coordinatore visita regolarmente i reparti. Avvisa i Parroci qualora, su richiesta del malato o dei parenti, venga espresso il desiderio dell’unzione degli infermi o del sacramento della riconciliazione. Qualora il Parroco sia impossibilitato è cura del Diacono contattare un Presbitero che amministrerà i sacramenti.

  1. I Parroci e gli altri operatori della pastorale sanitaria hanno diritto all’accesso ai degenti e alla loro assistenza, se richiesti dalle famiglie o dal soggetto interessato, come anche il diritto di visita, secondo le norme stabilite dall’Ausl. Tuttavia essi devono riferirsi al Coordinatore per una pastorale armonica.

  1. Oltre al Coordinatore e ai suoi coadiutori incaricati dal Vescovo, a nessun altro operatore è lecito risiedere nel padiglione ospedaliero o presentarsi come Assistente religioso del padiglione stesso.

 

  1. Il Sacerdote/Presbitero resta reperibile di notte, ma solo per i casi che presentano il carattere dell’improvviso aggravamento e del pericolo di morte e che non abbiano ancora ricevuto il sacramento dell’unzione degli infermi. Non deve essere chiamato per i decessi.

  1. Fermo restando che l’amministrazione dell’Unzione dei malati e la Riconciliazione sono riservate al Presbitero, il Diacono può distribuire la comunione, raccomandare i defunti e celebrare le esequie.

  1. Giornata per il Seminario diocesano Pio XII e Giornata per la Casa del Clero “Card. Amleto G. Cicognani”

Lo scorso 19 giugno, con 2 distinti decreti, ho istituito la Giornata per il Seminario diocesano Pio XII e la Giornata per la Casa del Clero “Card. Cicognani”. Per quanto riguarda il Seminario diocesano, a fronte delle mutate circostanze e della scarsa redditività del patrimonio a suo tempo assegnato al Seminario dalla generosità dei Vescovi e dei benefattori, si fa sempre più urgente la necessità della solidarietà da parte di tutte le comunità parrocchiali, i movimenti, i gruppi, le associazioni ecclesiali. Una modalità comunemente diffusa è la raccolta di risorse economiche a sostegno, in particolare, dei progetti formativi sia dei Propedeuti che dei Seminaristi. Infatti, la formazione integrale e progressiva dei futuri presbiteri, come la promozione del discernimento delle molteplici vocazioni ecclesiali, è per la Chiesa un’opera fondamentale sia per il suo futuro che per la cura pastorale dei fedeli e che deve stare a cuore a tutti i suoi membri. Nel tempo il Seminario diocesano ha assunto un ruolo sempre più crescente nella formazione completa dei giovani. L’istituzione della Comunità Propedeutica Residenziale Interdiocesana, fortemente voluta dai Vescovi della Romagna, ha ulteriormente rafforzato la centralità del Seminario nella formazione dei giovani.

Circa la Casa del Clero, dopo due anni di sperimentazione, durante i quali è cresciuta l’organizzazione dell’accoglienza e la prestazione di servizi alle persone, si sono potuti constatare sia l’impegno dei Responsabili, sia la soddisfazione per l’ospitalità confortevole, sia anche un significativo deficit delle risorse economiche necessarie, anche a motivo dei rapporti con l’attigua Opera di S. Teresa e del relativo cambio di gestione che ha implicato il venir meno del mutuo aiuto. Pertanto, occorre lavorare per l’acquisizione di tutte le forme di sostegno economico previste, comprese quelle a favore delle persone non autosufficienti, in vista di una gestione capace di garantire una adeguata sostenibilità delle diverse attività di cura e di sostegno,

I decreti stabiliscono che:

  1. la Giornata diocesana del Seminario Pio XII (colletta obbligatoria) deve essere celebrata nelle Chiese della Diocesi ogni anno la prima domenica di Quaresima, mentre la Giornata diocesana della Casa del Clero “Card. Amleto G. Cicognani” (colletta obbligatoria) deve essere celebrata nelle Chiese della Diocesi ogni anno la prima domenica di Avvento,

  2. le offerte raccolte devono essere sollecitamente consegnate dal Parroco o dal Rettore della Chiesa all’Ufficio Economato della Curia diocesana che le assegna per le finalità stabilite con il presente decreto;

  3. l’Economo diocesano deve redigere annualmente un rendiconto delle raccolte effettuate distinte per Giornata entro il termine del 31 gennaio successivo;

  4. le comunità parrocchiali, i movimenti, i gruppi, le associazioni ecclesiali sono invitate a condividere questa concreta testimonianza di fraternità.

 

  1. V Ciclo di approfondimento e di aggiornamento teologico

Con il nuovo anno accademico 2018-2019 la Diocesi di Faenza-Modigliana, a complemento dei quattro Cicli abituali (corso di formazione teologica di base e ciclo triennale), istituisce un quinto Ciclo di approfondimento e di aggiornamento teologico. Un tale nuovo ciclo, che andrà assestandosi nel tempo, specie dopo il Sinodo dei giovani, intende offrire, a coloro che hanno frequentato i precedenti cicli, ai diaconi, ai giovani, ai coordinatori dei catechisti, agli insegnanti di religione, ai membri dei vari Uffici o Consigli pastorali, a coloro che lo desiderano, l’occasione di completare la propria formazione di base, per meglio affrontare le sfide odierne dell’evangelizzazione e del discernimento pastorale. A ciò si è sollecitati non solo dalle nuove esigenze dell’annuncio del Vangelo, dall’urgenza della formazione dei laici, delle varie categorie professionali e intellettuali, ma anche dalla necessità dell’accompagnamento personale dei processi di crescita, dalla coltivazione della dimensione sociale della fede, come prospetta l’esortazione apostolica dell’Evangelii Gaudium (cf ad es. n. 102, n. 169, nn. 176-257). Ecco i corsi che saranno prossimamente attivati:

  1. Evangelizzazione del sociale. Pastorale e insegnamento sociali

(S. Ecc. Mons. Mario Toso). Il corso si tiene nell’Aula San Giovanni Bosco nel I semestre (piano terra).

2. La famiglia: soggetto ecclesiale e sociale

(Don Davide Ferrini). Il corso si tiene nell’Aula S. Umiltà nel I semestre (piano terra).

  1. Catechesi: sintesi dei contenuti della fede in funzione dell’educazione

(Mons. Antonio Taroni). Il corso annuale, che abbraccia il I e il II semestre, si tiene nell’Aula San Pier Damiani (primo piano).

  1. Accompagnamento alle scelte della vita

(Don Michele Morandi, Vicario generale). Il corso si tiene nell’Aula San Giovanni Bosco nel II semestre (piano terra).

  1. Psicologia e formazione

(Don Massimo Goni). Il corso si tiene nell’Aula S. Umiltà nel II semestre (piano terra).

Le lezioni si svolgeranno il martedì dalle 20,30 alle 22, presso il Seminario Vescovile Pio XII, in Via degli Insorti, n. 56 (Faenza).

Segreteria: Prof.ssa Michela Dal Borgo. Le iscrizioni si effettuano presso: curia@diocesifaenza.itdalborgomichela@gmail.com. All’atto dell’iscrizione occorre indicare i propri recapiti personali.

Le tasse per l’iscrizione all’intera annualità: 90 euro; per la frequenza ad un unico corso 30 euro. Il pagamento deve essere effettuato in Seminario la sera della lezione d’inizio del corso.

Le lezioni del I semestre inizieranno il 9 ottobre 2018. La sessione degli esami del I semestre è in programma dal 21 gennaio al 4 febbraio 2019

Le lezioni del II semestre inizieranno il 5 febbraio 2019. La sessione degli esami del II semestre è in programma dal 20 maggio al 4 giugno 2019

È possibile consultare il programma della Scuola nel sito www.diocesifaenza.it.

Inaugurazione Biblioteca domenica 28 ottobre ore 17,70 Seminario diocesano.

1 Sulla sinodalità è bene leggere DARIO VITALI, Un popolo in cammino verso Dio, Edizioni san Paolo, Milano 2018. A riguardo è anche importante la Costituzione apostolica Episcopalis communio di papa Francesco (15 settembre 2018) che rinnova struttura e compiti del Sinodo. Con tale Costituzione il papa rilancia la sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa. In essa si afferma, tra l’altro, che il vescovo è pastore ma anche discepolo quando, sapendo che lo spirito santo è elargito ad ogni battezzato, si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero popolo di Dio.

2 Cf FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, n. 268.

3 A proposito di pastorale giovanile si rinvia a JOSÉ LUIS MORAL, Pastorale giovanile. Sfida cruciale per la prassi cristiana, ELLEDICI, Torino 2018.