Faenza, Chiesa del Seminario 22 dicembre 2024.
Nella lettera agli Ebrei è presentata l’essenza del sacerdozio di Cristo, l’essenza del suo sacrificio, che non può essere equiparato ai sacrifici antichi, quelli di animali. Il vero sacrificio di Gesù Cristo, il suo sacerdozio, nel senso di una vita gradita a Dio, resa sacra, consiste nel fare di sé stesso un dono totale a Dio. Il vero sacrificio che Dio Padre desidera da noi è che compiamo la sua volontà, è che amiamo come lo ama il suo Figlio. Il Vangelo di Luca (cf Lc 1, 39-45) ci fa capire che Maria fa della sua vita una missione di servizio solerte a sua cugina Elisabetta perché è ricolma di Amore per Dio. Proprio perché innamorata di Dio accetta di divenire Madre del suo Figlio e si reca in fretta presso la cugina Elisabetta per aiutarla nella sua maternità.
Muovendo da queste affermazioni non ci è difficile fare una riflessione ulteriore e comprendere come l’essenza della Chiesa è data propriamente dalla sua comunione d’amore con Dio e tra i credenti. La comunione d’amore con Dio Padre, Figlio e Spirito santo importa: l’annuncio della Parola, la celebrazione dei sacramenti (Liturgia), il servizio della carità o diakonia. Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro. La Carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale, che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza (cf Benedetto XVI, Caritas in veritate n. 25).
La carità, se è compito di tutta la Chiesa, è anche compito di ogni fedele. Il cristiano, infatti, è chiamato alla «cristo-conformazione», a modellare sé stesso e la propria esistenza sull’esempio del Signore che passò facendo del bene: pertransiit benefaciendo.
La carità è evangelizzazione in quanto la più credibile forma di annuncio del Vangelo. L’esercizio della carità cristiana da parte dei fedeli singoli o associati, così come da parte delle istituzioni della Chiesa, diviene inevitabilmente contenuto concreto del diritto di libertà religiosa individuale, collettivo ed istituzionale, ed espressione della libertas Ecclesiae. Sicché ogni impedimento esterno, proveniente dal potere politico od anche da poteri privati, all’esercizio individuale o collettivo della carità si traduce, sul piano giuridico, in una lesione della libertà religiosa o della libertas Ecclesiae.
Il volontariato cristiano non è assimilabile al volontariato che è espressione di altre culture ed altre identità. La Chiesa non è un’agenzia umanitaria, anche quando promuove iniziative che sono apparentemente simili a quelle di altre agenzie umanitarie, come Amnesty o Medici senza frontiere. L’impegno del volontariato cristiano è e deve essere espressione dell’interiore urgenza della carità. È e deve essere animato da una profonda ragione religiosa che si individua nella sequela di Cristo il quale, come attestano gli Atti degli Apostoli, e come abbiamo già detto «passò facendo del bene a tutti» (At 10,38).
In questo contesto, in cui rammentiamo l’essenza della Chiesa mi piace presentare la figura di don Oreste Benzi, in occasione del centenario della sua nascita. Conoscere alcuni tratti della sua personalità ci torna utile a capire come vivere meglio la carità cristiana.
Desidero ricordare don Oreste Benzi per la sua vita spesa accanto agli ultimi e per gli ultimi, con gli ultimi. Detto altrimenti, non dobbiamo dimenticare che la sua azione sociale non era di tipo semplicemente assistenzialistico. Era protesa ad andare incontro alle persone bisognose per toglierle dalla strada, dai margini della società per offrire a loro un contesto famigliare che consentisse il loro recupero, il loro riscatto sociale, mettendosi a servizio delle proprie famiglie, degli altri.
La vita di don Oreste era la vita di un innamorato di Dio, che si è consumata a favore della giustizia benevolente ed oggi è un punto di riferimento eloquente per coloro che intendono annunciare e testimoniare che può esistere un modo nuovo di vivere, di realizzare una società più fraterna, fondata sul dono, ossia una società del gratuito (cf Caritas in veritate nn.34-42), che va col passo degli ultimi e in cui nessuno è lasciato indietro.
Dell’opera di don Oreste si possono considerare più aspetti. Come non va dimenticata la sua spiritualità, non possiamo trascurare la sua figura di grande educatore sociale delle nuove generazioni. Delle grandi personalità, alle volte, si coglie questo o quell’aspetto. E se ne dimenticano altri. Come è avvenuto anche per don Giovanni Minzoni, altro grande sacerdote della Romagna. Sinora si è sottolineato in particolare che è stato ammazzato dai fascisti, cosa vera, ma con questo si finisce per dimenticare la globalità della sua personalità. In questo periodo storico, grazie anche all’apporto di studi accurati, presentati ultimamente a Ravenna, si sta mettendo in luce l’apporto di don Minzoni alla formazione del mondo cattolico dal punto di vista sociale e politico, in rete con altri sacerdoti – basti pensare a don Luigi Sturzo –, con associazioni cattoliche, con il laicato più attivo e responsabile.
Prima di essere il sacerdote dalla tonaca lisa che percorreva l’Italia ad incontrare persone, a sensibilizzare comunità e città nell’avvicinare persone in difficoltà per varie ragioni, a liberare coloro che erano schiave della prostituzione, don Benzi era direttore spirituale del Seminario ed assistente dell’Azione Cattolica nella Diocesi di Rimini. Come assistente era una guida spirituale ricercata dai giovani più sensibili, anche se era esigente.
Don Benzi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare era un sacerdote di vasta cultura. Egli era convinto che la prima forma di carità è quella intellettuale. Don Benzi sapeva che bisogna aiutare le persone ad uscire dall’ignoranza. Soprattutto con i poveri si deve spiegare il significato delle cose e aiutarli a capire il mondo. È una forma di rispetto e di amore nei loro confronti.
Il messaggio che emerge dall’opera di don Oreste è che l’amore fondato sulla conoscenza è più efficace e valido di quello basato solo sulle emozioni. L’azione caritativa non può prescindere da un pensiero solido e chiaro. Don Oreste aveva una biblioteca che nemmeno un professore universitario possedeva. Egli era ben informato sui problemi sociali. Era convinto che chi desidera compiere il bene deve farlo bene. Non basta fare il bene. Bisogna farlo bene.
Ecco alcuni tratti della ricca personalità di don Oreste, che non vanno dimenticati volendo essere operatori sociali e educatori di una fede e di una spiritualità che si incarnano nell’oggi ed intendono dispiegare energie d’amore corrispondentemente alla fraternità, alla dignità delle persone. La sua coraggiosa azione, spinta quasi al limite massimo della ragionevolezza umana, rimane per tutti noi un fulgido esempio di come realizzare, qui in terra, la grandezza dell’amore divino di Gesù Cristo, il suo sacerdozio.
È questa l’occasione per ringraziare tutti voi, il Direttore della Caritas don Emanuele Casadio, la Presidente, gli amministratori e il Revisore della Fondazione Pro Solidarietate, il Presidente e gli amministratori dell’Associazione Farsi prossimo, gli operatori e tutti i volontari, i giovani del servizio civile, perché tutti siete il Cuore di Cristo e del vescovo, un cuore che è estasi, uscita, dono, incontro (cf Dilexit nos, 28). Auguri a tutti di Buon Natale e di un buon Giubileo 2025.
+ Mario Toso