[nov 13] Omelia – Per Pia Reggi, una donna dalla fede grande

13-11-2024

Faenza, Chiesa di sant’Agostino 13 novembre 2024.

«Egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia» (Tt 3, 5). Ecco quanto Paolo scrive a Tito. La salvezza che offriamo ai nostri fratelli e sorelle non è opera propriamente nostra. Riusciamo a comunicarla perché rigenerati e rinnovati nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro.

A 10 anni dalla morte di Pia (2014) desideriamo ricordarla non solo come cofondatrice dell’Ami, assieme a don Mario Babini e a un primo gruppo di missionarie, ma anche come donna forte nella fede nella speranza e nella carità. Proprio perché ricca di una fede operosa, di una speranza fondata, di una carità aperta a tutti, Pia ha espresso nella sua vita, una connaturale ed intensa sintonia con il disegno di salvezza di Dio e con il Concilio vaticano II. Di quest’ultimo è divenuta gradualmente un’interprete alta ed ispirata.

Pia Reggi, in particolare, ha fatto sua l’intuizione del Vaticano II della valorizzazione del sacerdozio comune di tutti i battezzati e della comune responsabilità missionaria. Ha, inoltre, colto l’urgenza sia della missio ad gentes sia della Nuova Evangelizzazione nei Paesi di antica tradizione cristiana.

Le intuizioni del Concilio vaticano II le ha vissute unendole all’amore per la Chiesa locale in cui l’AMI era inserita, con un intenso coinvolgimento nella pastorale del territorio. Proprio in questo senso, Pia Reggi ha interpretato e orientato il suo costante servizio nel centro missionario diocesano e nella comunità studenti. Ogni servizio di animazione e formazione missionaria lo rivolgeva non solo all’interno dell’Ami ma anche verso le parrocchie e la realtà della chiesa locale.

Missio ad Gentes e nuova evangelizzazione, note caratteristiche dell’Ami, sono state vissute da Pia con particolare intuito profetico e dedizione: 13 anni in India, molti altri in Africa, ad incontrare e ad incoraggiare le missionarie in prima linea in Eritrea, il lavoro nella Comunità Studenti e nel Centro Missionario Diocesano di Faenza, la formazione dei membri dell’AMI, che man mano si aggiungevano al primo gruppo e dei volontari in partenza per le missioni ad gentes. Tutto nella consapevolezza, come diceva lei che:

“L’AMI è nata per un ministero di speranza: testimoni-missionari della speranza. Di qui l’accoglienza di ogni fragilità, avendo sperimentato la nostra da cui Dio ha tratto una novità di vita, capace di dire, alla luce del Concilio vaticano II, una parola nuova sulla Chiesa, che attrae e dà entusiasmo ai giovani”.

Alla luce della vita di Pia e dell’Ami, possiamo dire che, in un certo senso, ha precorso i nostri tempi, rispondendo anche ad alcuni limiti delle nostre comunità. Una recente ricerca, messa in atto dal Censis, ha evidenziato come la Chiesa odierna non appare agli occhi dei fedeli attraente, bensì piuttosto ripiegata su stessa, poco missionaria, non decisamente «in uscita» come è solito ripetere papa Francesco.

La Chiesa viene vista, da non pochi, come un po’ troppo clericale, non in grado di valorizzare le risorse laicali che avrebbe al suo interno. Ciò incoraggerebbe i laici più preparati ad allontanarsi dalla comunità, a muoversi in maniera sparsa, disarticolata. Così, la loro pratica religiosa diventa sempre più individualista e fatica a trovare posto nell’esperienza offerta dalla comunità ecclesiale. Ne emerge una sfida pastorale complessa, che dovrebbe trovare risposte puntuali da parte della Chiesa italiana, che si trova alla vigilia della prima Assemblea sinodale, in programma proprio in questo fine settimana.

È proprio in questo contesto, in cui la fede nelle comunità odierne è vissuta in modo sempre più individualistico, con accenti clericali, che assume un particolare rilievo l’esperienza missionaria di Pia. Il carisma dell’Ami, che si incentra sul sacerdozio comune di tutti i battezzati e sulla loro vocazione missionaria, viene in aiuto alle nostre comunità per coltivare i carismi laicali e per vivere in tutti e in ciascuno dei suoi membri il suo essere missionario, secondo un ordine armonico ed unitario. Non c’è fede senza evangelizzazione. Non c’è evangelizzazione senza comunione con Gesù Cristo e la sua missione. Nelle comunità cristiane, l’assoluta necessità e l’insostituibilità dell’impegno personale di ogni credente nell’evangelizzazione è strettamente connesso con la dimensione ecclesiale, comunitaria ed escatologica del servizio del Regno. Questa è una direttrice di marcia propria del cammino sinodale che sta vivendo la Chiesa universale e che è in Italia. Non poche volte i credenti si sentono distanti gli uni dagli altri e fanno esperienza di una Chiesa frammentata. Spesso la mancanza di coinvolgimento e di una partecipazione condivisa, l’abitudine di coltivare il proprio orticello e il proprio campanile, fanno sì che le comunità parrocchiali delle nostre Unità pastorali siano disarticolate fra loro, con il risultato che non sono condivise le ricchezze spirituali e culturali, i carismi laicali. I luoghi di formazione e di animazione restano semideserti, riservati a poche persone, quasi sempre le stesse.

Nel suo testamento spirituale Pia sottolineava la dimensione laicale ed ecclesiale dei suoi missionari, delle sue missionarie.  Sollecitava tutti ad essere consapevoli del dono di Dio. Scriveva:

“Siate consapevoli del dono di Dio. L’AMI è dono di Dio. È fiducia di Dio per voi. Dio si fida e ci ha messo nelle mani un tesoro. Lo so che siamo vasi di argilla. Ci ha scelti perché siamo piccoli, poveri, insignificanti, ordinari. Restiamo poveri e totalmente dipendenti da Lui, allora Egli compirà in noi le sue opere, che sono sempre grandi e totalmente sproporzionate a noi per il suo amore infinito, pazzesco, fuori di ogni schema”.

Pia, riportando le parole di don Mario Babini, rammentava: «Noi siamo ancora qui. Siamo un fiore di campo o un piccolo alberello nella Chiesa, pronti a crescere se Dio lo vorrà, attenti a tutte le accoglienze in Italia, in Africa e in India». Disponibilità, riconoscenza al Signore che ci rigenera e rinnova nello Spirito santo: ecco gli atteggiamenti che dobbiamo coltivare per diventare eredi della vita eterna (cf Tt 3, 1-7).

In questa Eucaristia guardiamo al Sommo Sacerdote, il missionario per eccellenza. Pensiamo a Pia e a don Mario Babini che, vivendo in Dio, benedicono il lavoro missionario dei loro figli e delle loro figlie spirituali, delle famiglie che collaborano con loro. Preghiamo Maria santissima che Pia ha insegnato a considerare Madre dell’Ami, compagna nel viaggio missionario della vita. Dal cielo ci aiuti a lavorare come Gesù: “È l’amore, l’inginocchiarsi di fronte a chi serviamo, che conta. Senza umiliare, senza far pesare, con lo stile di Gesù, come il carisma dell’Ami ci insegna”. Poniamo sotto la sua protezione Antonietta e Isabella, tutti noi, l’impegno della raccolta fondi per realizzare in India un piccolo progetto sanitario: l’India è stata particolarmente cara a Pia.

                                                            + Mario Toso