Faenza, cattedrale 3 novembre 2024.
Come annunciato all’inizio, in questa celebrazione domenicale, che segue la Commemorazione dei Fedeli Defunti, facciamo particolare memoria dei vescovi defunti di questa nostra Diocesi di Faenza – Modigliana. Li ricordiamo come coloro che, per la dedizione alla Diocesi con tutto il cuore e che per il loro ministero di successori degli apostoli, hanno dato il meglio di sé stessi nella costruzione del Regno di Dio in questo territorio. Hanno partecipato al sacerdozio di Cristo che non tramonta (cf Eb 7, 23-28), unendo l’amore al Signore e l’amore al prossimo (cf Mc 12, 28b-34). Prendendo in considerazione alcune figure dei vescovi di questa Diocesi, penso di fare cosa utile descrivendo alcune delle loro iniziative pastorali, senz’altro equivalenti a tasselli della santità che essi hanno cercato di vivere.
La nostra Diocesi esiste da almeno 1.700 anni, dal momento che la sua prima attestazione certa risale all’anno 313, lo stesso anno reso famoso dall’editto dell’imperatore Costantino che concesse la piena libertà di culto ai cristiani. Purtroppo, non abbiamo la fortuna di conoscere tutti i nomi dei miei lontani predecessori fino al X secolo, essendo andata persa la gran parte delle fonti storiche.
Come tutti voi saprete, nelle prossime settimane giunge al termine la Visita pastorale, che mi ha portato, in una sorta di “pellegrinaggio paterno e pastorale”, ad ascoltare e ad incoraggiare l’impegno missionario di tutti, ad incontrare e a conoscere meglio la realtà delle parrocchie, nonché le forme istituzionali, civili, amministrative, sociali, sanitarie ed economiche dei territori che compongono la nostra Diocesi. Non è questa la sede per ritornare sulla valenza soprattutto apostolica della visita del vescovo, bensì vorrei qui ricordare in modo speciale i miei predecessori che nel corso dei secoli hanno effettuato visite di questo tipo alle parrocchie diocesane, i cui atti sono conservati nel nostro Archivio Storico. Le visite pastorali, nell’accezione attuale del termine, sono un’altra delle formidabili intuizioni del Concilio di Trento, conclusosi nel 1563, che obbligò i vescovi ad effettuare periodiche «ispezioni» – così erano anche chiamate – al territorio loro soggetto. Si trattava di tempi in cui la vita religiosa era alquanto scaduta, soprattutto nelle parrocchie di campagna e di collina, dove il clero era talvolta impreparato se non addirittura analfabeta o moralmente indegno. In particolare, nella nostra Diocesi era necessario procedere ad una sorta di “rifondazione” di tutte le istituzioni ecclesiastiche, a seguito della capillare diffusione di dottrine evangeliche e luterane, che condussero a pesanti epurazioni – così si esprimono gli storici – in tutte le classi sociali, compreso il clero.
La prima notizia di una visita pastorale nella Diocesi di Faenza-Modigliana (allora non esisteva la giurisdizione di Modigliana, che fu istituita solo nel 1850 sottraendo un centinaio di parrocchie alle diocesi romagnole, di cui una metà alla nostra) risale al 1529, al tempo del vescovo cardinale Rodolfo Pio da Carpi. Nei decenni seguenti, tutti i vescovi hanno indetto visite pastorali, in numero variabile, a seconda della durata del loro episcopato e dell’impegno profuso. Si ricordi che si trattava di iniziative particolarmente onerose, anche perché la Diocesi di Faenza era, fino alla seconda metà del XVIII secolo, la più estesa in Romagna, spaziando dai crinali appenninici di Crespino e San Benedetto in Alpe, fino alle porte di Ravenna, fino alle zone paludose dell’Alfonsinese. Raggiungere oltre duecento parrocchie, ubicate soprattutto nella fascia collinare e montana, non era cosa facile per quei tempi, esponendo i vescovi ed i loro vicari, che talvolta li coadiuvavano nelle visite pastorali, a rischi personali di diverso tipo. In tali occasioni i vescovi prendevano atto dello stato delle singole parrocchie ed istituzioni religiose loro soggette, lodando quelle virtuose, ma soprattutto imponendo le più svariate disposizioni. Fra i vescovi che hanno compiuto tali visite, ricorderò per tutti il cardinale Carlo Rossetti, vescovo dal 1645 al 1681, che visitò la Diocesi svariate volte nel suo lunghissimo ministero.
Il 19 novembre prossimo ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Sua Ecc. Mons. Giuseppe Battaglia, che, forse, alcuni di voi avranno conosciuto personalmente. Nato a Brembate di Sopra (Bergamo) nel 1890, fu ordinato vescovo nel 1943 e destinato alla Diocesi di Faenza in ausilio al padovano Antonio Scarante, che morì nel corso dei combattimenti del 1944. Di lui abbiamo già detto anche negli scorsi anni, ma non possiamo fare a meno di ricordare nuovamente i suoi meriti a favore della popolazione civile nel periodo dell’occupazione nazifascista e del passaggio del fronte, peraltro riconosciuti al termine del conflitto quando fu insignito della medaglia d’argento al valore militare. A Battaglia toccò l’arduo compito della ricostruzione in muratura delle chiese distrutte, ma soprattutto della ricostituzione pastorale delle comunità dei fedeli che la guerra aveva praticamente dissolto. Soprattutto questo secondo aspetto gli stava a cuore. In tal senso intese suggellare la “rifondazione” della propria diocesi proprio mediante la visita pastorale, che si concluse con un sinodo diocesano, celebratosi nell’ottobre 1948. Di tale evento resta memoria nella lapide posta sopra questa cattedra, alla mia destra.
La storia dei vescovi ci parla della passione d’amore per Cristo, da parte della Chiesa che vive in Faenza-Modigliana e dei suoi pastori. Questi l’hanno servita nel corso degli oltre 1700 anni della sua vita. Ricordiamoli tutti nella preghiera ed affidiamoli al Signore perché conceda loro il premio destinato al “servo buono e fedele”.
Nell’Eucaristia che celebriamo ricordando tutti i vescovi defunti rivolgiamoci così allo Spirito santo: «Ospite dolce, consolatore perfetto, vieni e prendi casa nei nostri cuori: accompagna la Chiesa che è in Faenza e Modigliana, manda nuovi operai nella tua messe, dona sollievo alla nostra terra colpita da molte calamità, rendici testimoni gioiosi del Risorto, il Signore e Maestro, chiave, centro e fine di tutta la nostra vita».
+ Mario Toso