Carissimi,
«il vescovo non viene a visitarvi per consegnarvi primariamente dei compiti da fare o per impartire lezioni teologiche o ecclesiologiche. Viene per dirvi, anzitutto che, se dal Vescovo fino all’ultimo dei battezzati non ci si mette in cammino, non si intraprende una convinta conversione comunitaria a Cristo, potremo avere tutti i registri e i conti in ordine, potremo proporre le iniziative più coinvolgenti e partecipate, ma tutto ciò sarà poca cosa. Perché? Perché saremo mancanti dell’unica cosa che può dare vita, che può far compiere un salto di qualità alla missionarietà delle nostre comunità, che può dare senso e sapore alle attività umane, ossia saremo poveri del suo Amore unico e increato, della comunione con il Verbo incarnato. Solo se si prova un amore intenso e appassionato per Gesù Cristo si diventerà solleciti nell’edificare infaticabilmente il Corpo di Cristo, si sarà attenti e solerti nel gestire i beni della Chiesa per fini ultimamente pastorali, nel tenere in ordine anche i registri, nel dar vita – in particolare – ad una catechesi più aggiornata, più coinvolgente non solo i giovani ma anche le loro famiglie; nel mettere in campo un’evangelizzazione non solo dello spirito ma anche delle relazioni sociali, delle istituzioni culturali e pubbliche» (Mario Toso, Omelia apertura Visita pastorale, 5 novembre 2023).
Con queste parole iniziavo un anno fa la Visita pastorale alla Diocesi. Auspicavo una convinta conversione comunitaria, un salto di qualità nella missionarietà delle nostre comunità, nella catechesi, in una spiritualità incarnata. A questo siamo chiamati: annunciare a tutti la buona notizia del Vangelo, Gesù Cristo, morto e risorto, realmente presente nella sua Chiesa, fine alla fine dei tempi, tramite lo Spirito Santo, la celebrazione dei sacramenti e la vita nella carità, per ricapitolare in Cristo tutte le cose, per farle nuove.
Dobbiamo fare un salto di qualità: Cristo non è solo qualcosa di “interessante”, un esempio che dobbiamo imitare, una morale che ci accompagna nelle scelte della vita. Il Concilio afferma che Cristo «soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l’esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato» (Gaudium et spes 22). Con queste parole i Padri conciliari volevano allontanare la tentazione di rendere Gesù un ideale astratto di vita, un’immagine da guardare da lontano. Egli è all’opposto di quanto è astratto e lontano. È l’Emmanuele, il Dio con noi, il Risorto, il vivente, è la scelta, è il senso, il significato della vita e della morte – per me vivere è Cristo, diceva san Paolo -, il fondamento di ogni azione della Chiesa e di ogni cristiano.
Gesù non è un’ideale fra tanti altri: il cristianesimo non è una proposta alternativa fra le tante proposte di senso che presenta il mondo.
«La Chiesa crede – ci insegna il Concilio – che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (GS 10). «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a sé stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (GS 22).
Il salto di qualità verso una convinta conversione comunitaria, una maggiore missionarietà delle nostre comunità, passa necessariamente attraverso alcune scelte concrete, a partire dall’amore per Gesù Cristo.
La prima è la corresponsabilità del laicato. Le vostre relazioni fanno emergere la consapevolezza della differenza fra una vera corresponsabilità e una semplice collaborazione. D’altro canto, emerge anche la fatica di pensare diversamente il ruolo del parroco all’interno del contesto parrocchiale. Si sente la differenza rispetto ad un contesto dove tutto convergeva verso il parroco e dove si viveva un accentuato protagonismo del parroco: oggi non possiamo conservare questa impostazione, primo fra tutti il motivo del calo delle vocazioni presbiterali e religiose. Se non sono le ragioni ecclesiologiche a farcelo capire è la stessa situazione della stessa Chiesa che è in Romagna a dovercelo far comprendere. Il parroco è chiamato a guidare una o più comunità non accentrando e monopolizzando le attività, ma armonizzando la creatività dei tanti fedeli generosi che spendono le loro energie nella catechesi, nella liturgia, nelle opere di carità.
Il parroco deve garantire non che la parrocchia segua i propri orientamenti, ma gli orientamenti della Chiesa locale, della Diocesi. La Diocesi non è qualcosa che si aggiunge alla dimensione parrocchiale, ma il contesto e la condizione di possibilità per una pastorale parrocchiale.
Le vocazioni ad un ministero istituito, quindi stabile e non straordinario, sono inserite in questa dinamica: dobbiamo aiutare l’approfondimento e la formazione dei laici, in ogni campo. Siamo chiamati non solo a suscitare il desiderio di una Chiesa giovane, bella, attrattiva, dinamica nel testimoniare l’amore di Cristo in tutte le attività umane e in tutti gli ambiti di vita, ma anche a farsi dono al Signore perché la Chiesa possa andare incontro al povero, ai lontani, possa donare Cristo all’uomo di oggi, piuttosto indifferente nei confronti di Dio e ripiegato quasi sull’adorazione del proprio io.
Questo aspetto si lega al secondo orientamento che siete chiamati a fare vostro: non abbiamo bisogno di parrocchie autoreferenziali e introverse. I numeri e la quantità, nelle iniziative che proponiamo, non sono il segno che le cose stanno andando bene. Vorrei essere esplicito su questo punto. Il segno più eloquente e veritiero della vivacità e della qualità pastorale delle parrocchie è dato dalla fioritura di vocazioni cristiane mature, adulte, responsabili. Vocazioni alla famiglia, al ministero ordinato, alla vita religiosa: questo è il segno di una comunità viva, una comunità che sa generare alla fede e alla sequela di Cristo, non tanto i numeri relativi alla frequenza e alla partecipazione delle iniziative estive, sportive.
Il secondo orientamento si specifica, quindi, come impegno vocazionale non autoreferenziale, più in collegamento e in relazione con il contesto diocesano, con la Pastorale giovanile e vocazionale della Diocesi, come ha insegnato don Francesco Cavina e come ora insegna don Massimo Geminiani. Dobbiamo fare nostro un atteggiamento estroverso o, meglio, più aperto alla rete dei momenti formativi della comunità diocesana, perché diventino più efficaci con il contributo e la testimonianza di tutti, in un ritmo alterno di processi caratterizzati da sistole e da diastole – tutti insieme, per poi partire tutti in mille direzioni, per ritrovarsi e per ripartire andando al largo -, che sappiano accompagnare le persone in tutte le età della vita a scelte importanti e significative per il territorio intero, non solo per alcune isole felici.
Noto che le relazioni fanno emergere alcune difficoltà, alcune chiusure fra le comunità dell’Unità pastorale, sulle quali è bene lavorare insieme, aumentando il coinvolgimento e la condivisione di responsabilità di tutti gli organi di comunione, che in questa zona garantiscono una partecipazione di qualità. Proprio perché riconoscete alcune chiusure, è bene investire pastoralmente per un’inversione di rotta.
Non abbiamo bisogno tanto di parrocchie che presidiano territori, ma comunità evangelizzatrici, costantemente in cammino insieme, proiettate fuori dai confortevoli recinti dell’abitudine, costruttrici di una società più giusta ed equa, impegnate nel sociale, secondo l’orientamento del Vangelo e della Chiesa.
L’alluvione che ha colpito nuovamente questo territorio non può lasciarci indifferenti. Come scrivevo a settembre, «dobbiamo nuovamente rimboccarci le maniche e muoverci insieme. Come abbiamo già sperimentato, siamo tutti sulla stessa barca! Senza perdere tempo […] dovremo incentivare azioni solidali, pensate, programmate, per migliorare il nostro rapporto con questa terra. Abbiamo ancora molto da costruire nella relazione con l’ecosistema e nell’approfondimento di una ecologia integrale» (Mario Toso, Lettera a tutta la popolazione, 19 settembre 2024).
La Chiesa non è lontana dalle sofferenze della gente, non è estranea al senso di smarrimento e di preoccupazione costante che sta colpendo tante persone. Ho visto la stanchezza dei vostri parroci, i loro sguardi preoccupati di quei giorni: sono rimasto edificato e colpito di come si sono fatti carico del peso emotivo di tante situazioni, di tante paure, di tanta sofferenza. A nome di tutta la Diocesi mi sento di rivolgervi il più sincero ringraziamento alle parrocchie dell’Unità pastorale che in modo particolare si sono dimostrate un autentico “ospedale da campo”, pronte a rispondere rapidamente, con la Caritas, in collaborazione con altre istituzioni, alle emergenze, ai bisogni di molte persone. Ora lavoriamo insieme perché non si presentino più queste situazioni emergenziali, sensibilizzando sulla necessità di individuare le cause dei problemi, lavorando per la giustizia – non abbiamo paura di evocare questa virtù nella formazione delle coscienze -, eliminando tutti i fattori di rischio dipendenti dall’uomo, costruendo una nuova relazione con questa terra che il Signore ci ha affidato.
Davvero la speranza nel Signore possa essere un porto sicuro nel quale sostare in mezzo alle tante difficoltà della vita. Non per fuggire, ma per riconoscere, anche nel momento più difficile, la nostra chiamata all’impegno, alla gioia che non ha mai fine.
Care comunità dell’Unità Pastorale del Borgo, che la Visita non segni l’apice, la conclusione di un cammino, ma un nuovo inizio, in ascolto dell’unico Maestro, «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (GS 10). Si rinnovi e si reimposti la pastorale vocazionale in sinergia con la pastorale giovanile e la pastorale famigliare. Si individuino cammini spirituali(!) e di accompagnamento per i giovani che mostrano particolari attitudini e segni di chiamata, perché le vocazioni al presbiterato e alla vita consacrata, come anche al matrimonio, non rimangano senza sostegno e nutrimento.
+ Mario Toso