Faenza, Casa del Clero, 10 settembre 2024.
CENNI SU CONTESTO ECCLESIALE E SOCIALE
Teologi e sociologi ci dicono che viviamo in una nuova fase della missione della Chiesa. Senza giri di parole, detto in maniera sintetica, ci troviamo in un contesto di post-cristianità. Ossia non viviamo più nella cristianità che molti di noi hanno conosciuto e sperimentato anni fa. È, infatti, divenuto evidente il passaggio di un regime di cristianità quale si è vissuto nel secolo scorso e che già mostrava segni di cambiamenti considerevoli. Basti pensare solo, ad es., nella nostra Diocesi, al fervore della ricostruzione delle chiese distrutte durante la Seconda guerra mondiale; all’innalzamento del nuovo Seminario sito in Viale Stradone e a ciò che è seguito poco tempo dopo per lo spopolamento delle zone montane, per una progressiva scristianizzazione, per il calo dei fedeli e dei seminaristi.
Fermiamo l’attenzione sui 70 anni del Seminario diocesano. Si sono vissute: la sua apertura solenne con la partecipazione di una folla numerosa, una breve esistenza intensa e quasi subito dopo una graduale chiusura come studentato teologico. Sono scarni cenni con riferimento ad un’istituzione emblematica della Diocesi, che nel frattempo era già stata unificata con quella di Modigliana. Essi documentano il passaggio da una cristianità piuttosto florida ad una cristianità chiaramente in difficoltà per la crescita di una cultura di secolarizzazione, della progressiva diminuzione delle comunità religiose (ancora in atto), delle vocazioni presbiterali, della soppressione di parrocchie, specie nelle zone collinose e di montagna.
Tutto ciò ha richiesto e richiede un cambiamento di mentalità pastorale, una nuova organizzazione delle istituzioni ecclesiali, testimoniata dalla pronta riforma della Curia e, già prima, dalla nascita delle Unità pastorali. Il cristianesimo e la cultura da esso generata non costituiscono più un presupposto ovvio del vivere comune, della società, delle famiglie, delle associazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana. Anzi, vengono spesso negati, emarginati, sminuiti. Molti cristiani non posseggono più l’alfabeto della fede che si nutre e si esprime mediante la liturgia.
Per essere più precisi è opportuno dire che ciò non ha implicato la fine del cristianesimo in sé ma di una sua concretizzazione storica. Ci si trova, in definitiva, di fronte ad un compito non piccolo, quello di vivere il cristianesimo in un nuovo contesto socioculturale, più povero di una visione dell’uomo e della storia in sintonia con il Vangelo, richiedente nuove modalità di evangelizzazione, una nuova generatività sul piano della fede stessa, della missionarietà, della catechesi, della cultura. Dobbiamo impegnarci nel difficile compito dell’ascolto e del dialogo aperto con queste visioni, a volte lontane dal Vangelo, per trovare nelle persone, giovani e adulti, quelle aperture, quelle domande e quei desideri insopprimibili di qualche cosa di più alto, attraverso i quali far giungere ancora il messaggio di Cristo. Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; sollecitano delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza.
Occorre ripensare le grandi vie dell’evangelizzazione della cultura e dell’inculturazione del Vangelo, che rappresentano due dinamismi pastorali che vanno sempre insieme. Tutto ciò richiede il continuo ripensamento dell’annuncio, della catechesi, dell’educazione, della formazione dei credenti, della liturgia, della carità. Occorre condurre per mano, con pazienza, i fedeli nell’esperienza cristiana esistenziale dei misteri della salvezza, affinché essi vivano una profonda unità tra fede e vita. L’alternativa è rappresentata da quelle nefaste separazioni che vanificano la totalità dell’incarnazione di Cristo. La redenzione di Cristo risorto permea tutte le dimensioni costitutive della persona.
Il patrimonio del Vangelo, della fede, della Tradizione rimane sempre valido ma necessita di essere attualizzato e reso accessibile agli uomini e alle donne di oggi, soprattutto ai giovani.
In questo contesto, si innestano le molteplici prospettive ecclesiali avviate e sviluppate negli ultimi anni. Senza aver la pretesa di essere esaustivo, accenno a quei momenti di grazia che sono stati il Sinodo dei Giovani, il potenziamento della Comunità Propedeutica – che oggi accoglie le Diocesi della Romagna, Bologna e Ferrara, ma anche giovani provenienti da altre Diocesi d’Italia –, il già menzionato rinnovamento della Curia e dei Settori pastorali, che va di pari passo al cammino non sempre facile di un aggiornamento pastorale in chiave missionaria. Molto c’è ancora da intraprendere. Occorre una nuova stagione di intensa preparazione e formazione, specie di professionisti dell’annuncio e della speranza cristiani.
La diminuzione della presenza di istituzioni cattoliche o di ispirazione cristiana, come anche la crescita di una cultura fluida, ipermediatizzata, rielaborata dall’Intelligenza Artificiale, favorisce sempre più, presso la gente e le nuove generazioni, oltre che molte opportunità di comunicazione, la diffusione di un certo analfabetismo religioso. Non occorre spiegare i tanti perché. Vi sono ormai in commercio validi studi in proposito. L’incomprensibilità del linguaggio religioso abituale non è solo dovuta alla mancanza di aggiornamento ma anche alla lontananza degli schemi culturali dominanti nella gente e sempre più diffusi.
Da questo dobbiamo riconoscere l’urgente necessità di un impegno rinnovato nella comunicazione, nella formazione spirituale e culturale, accessibile a tutti, centrata sui bisogni concreti delle nostre comunità ecclesiali e della società plurale. Il Cammino sinodale diocesano, peraltro, ha fatto emergere questo: le persone non chiedono nuove cose, nuove iniziative, nuove “trovate” pastorali: è emerso il desiderio che quanto già dovrebbe contraddistinguere il nostro essere Chiesa (annuncio – liturgia – carità) sia fatto in modo nuovo, vitale, attuale, autentico. Non cose nuove, ma le cose essenziali espresse in maniera diversa.
Allo stesso modo, in questi anni abbiamo riconosciuto, sempre in linea con l’ascolto sinodale, l’importanza di un tessuto relazionale capace di dialogo con la molteplicità delle religioni e delle culture. Comunità accoglienti, aperte, dinamiche nella carità e nell’ascolto reciproco, sono la testimonianza più eloquente del Risorto. La corresponsabilità è una diretta conseguenza: dove si vivono relazioni autentiche e libere, le persone sono disposte a donarsi, caricandosi di responsabilità concrete, in aiuto ai pastori. Anche per questo dobbiamo continuare ad investire nei gruppi ministeriali – esperienza da noi pensata e varata per tempo -, che è una forma concreta di riorganizzazione dell’azione pastorale, in cui i laici possono formarsi per la corresponsabilità, in un’ottica di evangelizzazione missionaria.
Fra poco, dopo la pausa, prenderanno la parola il Vicario generale, l’Economo e altri Incaricati dei Settori pastorali. Quest’anno in seguito alle nuove nomine, sono molti i Settori che si stanno lanciando nell’organizzazione di progetti pastorali che esprimono una certa vitalità e un certo dinamismo che dobbiamo rendere sempre più all’altezza delle sfide odierne. A loro va tutto il mio ringraziamento per quanto han fatto negli ultimi anni e per quanto faranno per la nostra Chiesa diocesana.
IL CAMMINO SINODALE
Livello diocesano
Il Cammino sinodale è strettamente intrecciato a tutti questi cambiamenti ecclesiali. Lunedì 16 settembre avremo l’occasione di rilanciare la fase profetica a livello diocesano con la presenza di Mons. Erio Castellucci per un incontro in Cattedrale organizzato con la Diocesi di Imola.
In sostanza, la fase profetica implica il trovare le modalità per realizzare quanto è emerso, quanto è già stato oggetto di un discernimento ecclesiale. Sul sito diocesano è consultabile da tutti una sintesi[1] con varie proposizioni molto concrete che delineano alcune prospettive sulle quali dovremo lavorare nei prossimi anni. Sottolineo solo il fatto che dovremmo lavorare tutti, nessuno escluso. Non si tratta di aspettare una decisione “dall’alto”, ma di sentirci tutti corresponsabili – presbiteri, diaconi, laici, religiose e religiosi, clero – del futuro della nostra Chiesa. Siamo tutti noi insieme che possiamo produrre un cambiamento concreto del nostro essere Chiesa, non il protagonismo di azioni isolate ed individuali. Questo viene ricordato perché l’impegno di partecipazione al cammino sinodale non deve rimanere limitato a coloro che hanno preso parte come gruppi costituiti sin dall’inizio. È giunto ormai il tempo in cui vanno coinvolti tutti i credenti, non escluse le associazioni, le aggregazioni e i movimenti. Alcune forme di campanilismo e di isolazionismo continuano, purtroppo, a persistere e a creare frammentazioni, nonostante le numerose sollecitazioni a realizzare nei rapporti uno stile sinodale. L’anno Giubilare potrebbe essere l’occasione di una maggior incentivazione e di una conversione più profonda al camminare insieme a Cristo, a livello personale e comunitario. Ma potrebbe essere anche occasione del superamento di sbilanciamenti e di assenze tematiche nelle griglie di riflessione predisposte nelle fasi precedenti del cammino sinodale, rispetto a quella profetica. Considerando i documenti pervenuti in questi tre anni, ha sottolineato S. Ecc. Mons. Erio Castellucci nella sua relazione alla 79.ma Assemblea generale della CEI (Roma, 20-23 maggio 2024), non c’è quasi alcuna attenzione all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, così come mancano alcuni capitoli della Dottrina sociale della Chiesa e interi ambiti della pastorale (cf p. 3). Ciò può avere un solo significato e cioè che va abbozzato nelle programmazioni delle Chiese locali un quadro più completo dal punto di vista pastorale, come anche va tenuta presente l’urgenza non più differibile di avviare una pastorale il più possibile idonea alle aree interne, problema che è stato al centro della due giorni tenutasi, circa due mesi fa (16 e 17 luglio), a Benevento con la partecipazione di 30 vescovi di 14 Regioni.
I presuli, lì convenuti, si sono interrogati soprattutto sulla ministerialità che nasce dal Battesimo: una ministerialità che coinvolge tutte le membra del Popolo di Dio e la molteplicità delle vocazioni, nella consapevolezza che non possiamo continuare a ripetere stereotipi ormai da tempo superati. Si è chiamati ad aprirsi alla voce dello Spirito, che non fa tanto cose nuove, ma fa nuove tutte le cose. È necessario superare l’ottica ristretta del campanile, per aprirsi a forme nuove, capaci di valorizzare al meglio le risorse a nostra disposizione.
Dai vescovi è arrivato anche un sincero ringraziamento ai sacerdoti e agli operatori pastorali che con generosità lavorano nei territori interni affrontando non poche difficoltà, laddove ad esempio ci sono preti con 5-6 parrocchie anche molto distanti, tra monti e valli, proponendo un orientamento nuovo: «Anche la formazione nei Seminari dovrà tener conto di queste problematiche», proprio perché magari i preti giovani saranno quelli più di altri chiamati a misurarsi sul “fronte pastorale” delle aree interne.
La Chiesa, dunque, non vuole e non può abbandonare i relativi territori, senza per questo irrigidirsi in forme, stili e abitudini che finirebbero per sclerotizzarla. S. Ecc. Mons. Franco Giulio Brambilla, che a breve sarà tra noi, ha sospinto a focalizzare l’attenzione su una sinfonia dei ministeri battesimali e laicali nel quadro dei ministeri della Chiesa, lanciando tre proposte pastorali per la «forma ecclesiale» nelle aree interne: a) l’«équipe pastorale», idea che è simile ai gruppi ministeriali già da noi sperimentati non solo per le aree interne; b) il «servizio della cura», una vera task force della carità, che dev’essere insieme spirituale e materiale; c) il «centro educativo», ossia gli ambienti ove si collocano i percorsi di iniziazione cristiana, di animazione dei ragazzi (oratorio, centro sportivo, Grest o Cre) e di pastorale giovanile (adolescenti e giovani). S. Ecc. Mons. Brambilla ha intelligentemente rilevato che, evidentemente, non ci possono essere proposte uguali per tutti i luoghi. Ciò che in questo momento storico risulta chiaro è che non è più valido il vecchio modello in cui ogni parrocchia faceva tutto. È un modello di fatto non più sostenibile. Allorché si parla di nuovi modelli e di nuove ottiche bisogna, per conseguenza, superare il «campanile», la vecchia impostazione. Tante volte ci si sposta per qualsiasi esigenza anche per 15 chilometri, ma, se si dice di concentrare in una chiesa la messa di tre parrocchie, che sono a distanza di due chilometri l’una dall’altra, sembra per taluni impossibile.
Anche a proposito dell’équipe pastorale, che dovrebbe avere un ruolo centrale, è evidentemente difficile offrire una risposta univoca per le varie situazioni. Il vescovo Brambilla ha ipotizzato che in una valle che ha un comune un po’ più grande e una chiesa parrocchiale con più strutture questa potrebbe diventare il centro ove si può pensare di celebrare l’Eucaristia tutte le domeniche e i giorni feriali. In altre parrocchie si potrebbero ipotizzare altri tipi di attività, con l’Eucaristia più saltuaria, ossia nelle domeniche e nelle feste patronali, ma non nei giorni feriali.
Livello nazionale
La dimensione diocesana è strettamente integrata col cammino nazionale. Anche a livello nazionale, infatti, inizia la fase finale del sinodo nazionale nel quale siamo chiamati a prendere delle decisioni. La CEI sta organizzando due Assemblee per votare delle linee concrete di azione: io stesso parteciperò alla prima delle due Assemblee nazionali, in programma a novembre, insieme ai Referenti diocesani.
Livello universale
Allo stesso tempo, guardiamo con speranza anche al cammino sinodale universale che si compirà ad ottobre, e sul quale la Santa Sede ha già pubblicato un Instrumentum laboris molto articolato.
Sono tutti livelli interconnessi che manifestano la ricchezza di uno stile – quello sinodale – che dobbiamo rendere sempre più attuale.
GIUBILEO 2025
Il Santo Padre Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo 2025, Spes non confundit, scrive: «Ora è giunto il tempo di un nuovo Giubileo, nel quale spalancare ancora la Porta Santa per offrire l’esperienza viva dell’amore di Dio»[2], e «il prossimo Giubileo sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio».[3]
Il Giubileo è un tempo favorevole per fare l’esperienza viva dell’amore di Dio, un amore che si manifesta nella carne del Verbo fatto uomo, immolato sulla croce e vivente in eterno, vero fondamento della speranza che mai tramonta. Infatti: «La speranza nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce».[4]
Il principio dell’Incarnazione è una chiamata a concretizzare la speranza in segni eloquenti che sappiano testimoniare la gioia e l’importanza della vita in Cristo, a livello comunitario e personale.
Il gesto concreto per eccellenza dell’Anno giubilare sarà il pellegrinaggio: un’azione semplice e allo stesso tempo capace di stimolare la relazione e il dialogo, il silenzio e l’apertura interiore, la fatica e il desiderio di una meta. La meta centrale è Roma, le quattro Basiliche maggiori. In esse ci saranno le uniche Porte sante di questo Giubileo. Ad esse siamo chiamati a convergere in maniera prioritaria.[5] Più tardi don Tiziano ci presenterà nel dettaglio cosa proporremo a livello diocesano.
Altra dimensione fondamentale del Giubileo è l’esperienza della grazia e della misericordia che i fedeli potranno vivere accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, per ottenere l’indulgenza e il perdono del Padre buono. «La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno»[6] scrive sempre Papa Francesco. Questo elemento chiama in causa in maniera prioritaria la Diocesi e in particolare la Chiesa Cattedrale. Essa sarà il luogo diocesano in cui convergere. Il presbiterio è già stato informato che saranno organizzati a livello vicariale dei momenti di preparazione e di pellegrinaggio in Cattedrale. Vi invito fin da ora ad offrire il vostro aiuto perché in Cattedrale sia assicurato una più ampia presenza di confessori.
Alla Penitenza è legata un altro aspetto del Giubileo: l’indulgenza giubilare, segno efficace dell’amore misericordioso del Padre. Brevemente, l’indulgenza è legata a molteplici azioni:
- il pellegrinaggio a Roma o in Cattedrale;
- la visita a luoghi spirituali (le chiese romane, le basiliche papali fuori Roma, la Cattedrale…);
- opere di misericordia corporale e spirituale;
- altre opere penitenziali o
Mi piace sottolineare alcuni esempi proposti dalla Penitenzieria Apostolica, come la visita alle persone anziane, sole o ammalate «quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro»[7], la riscoperta del «valore penitenziale del venerdì», ovvero l’astenersi da futili distrazioni (media e social network), il digiuno e l’astinenza da consumi superflui, dando somme di denaro ai poveri, sostenendo «opere di carattere religioso e sociale, in specie a favore della difesa e della protezione della vita in ogni sua fase»[8], altre attività di volontariato a favore della comunità. Ma non va dimenticato un impegno più intenso nelle varie aree pastorali relative all’evangelizzazione del sociale, della famiglia, dei mezzi di comunicazione dell’intelligenza artificiale, della formazione culturale.
Vi è già stato inviato l’elenco completo degli eventi diocesani – sempre disponibile sul sito diocesano – al quale si aggiungeranno quelli proposti dai diversi vicariati.
Mi permetto di segnalarvi alcuni momenti diocesani imprescindibili:
Domenica 29 dicembre 2024, domenica della Sacra Famiglia, in cui per l’Apertura diocesana del Giubileo ho deciso di convocare tutta la Diocesi nella chiesa di S. Francesco in Faenza alle ore 17.30, per poi andare in pellegrinaggio fino alla Cattedrale per celebrare l’Eucaristica. È disposta la sospensione di tutte le S. Messe di questa domenica 29 dicembre dalle ore 13.00 alle ore 24.00.
Domenica 8 giugno 2025, Domenica di Pentecoste, alle ore 18.00 in Cattedrale, tutta la Diocesi in ogni sua componente e tutte le comunità sono convocate per una celebrazione giubilare a conclusione dell’anno pastorale, per celebrare l’effusione e il mandato missionario dello Spirito Santo alla Chiesa. È disposta la sospensione di tutte le S. Messe di questa domenica 8 giugno 2025 dalle ore 13.00 alle ore 24.00.
Domenica 28 dicembre 2025, domenica della Sacra Famiglia, vivremo, infine, la chiusura diocesana del Giubileo.
Concludo l’elenco segnalando che ogni Vicariato vivrà un pellegrinaggio organizzato e coordinato dal Vicario foraneo, nel Tempo di Quaresima. Esso prevederà la proposta di un cammino verso la Cattedrale, un segno di carità, una celebrazione penitenziale con la possibilità della confessione, la celebrazione dell’Eucaristia con il Vescovo, che sarà anche la celebrazione conclusiva della Visita pastorale per ogni Vicariato.
Non è inutile sottolineare, come già accennato, che il Giubileo va vissuto più profondamente in maniera non solo individuale ma anche in maniera comunitaria, dando concretezza ad una testimonianza corale, specie mediante una nuova evangelizzazione del sociale, che si estende dal civile al politico, dal locale al nazionale, alla mondialità, alla pace.
LA VISITA PASTORALE
Concludo il mio intervento per ringraziarvi delle energie spese per l’organizzazione e la buona riuscita della Visita pastorale. Nei prossimi mesi visiterò le ultime Unità pastorali. Ritengo che sia stata un’occasione per lavorare insieme o, meglio, per far lavorare insieme le comunità e le persone al loro interno.
Rilevo che non sempre la dimensione diocesana è valorizzata al meglio e che emerge sempre la tentazione di frammentare il contesto ecclesiale in campanilismi controproducenti. È il tempo del camminare insieme, della coralità, dell’armonia e delle sinergie pastorali.
Ho notato la capacità di molte comunità nel saper leggere la realtà odierna, nel comprendere che è necessario una conversione in chiave missionaria e vocazionale: non tanto per colmare i vuoti tra le fila dei presbiteri e le realtà laicali, ma per servire meglio la nostra realtà diocesana.
Nuove Comunità religiose in Diocesi
Si tratta della presenza in Diocesi di due nuove comunità religiose femminili – in controtendenza rispetto alla prossima chiusura della Comunità delle Monache Camaldolesi di S. Maglorio – delle quali la prima ha già iniziato il proprio servizio. Infatti, nello scorso mese di febbraio l’Istituto religioso di diritto pontificio delle “Suore di Santa Caterina da Siena” ha sottoscritto una convenzione con la Diocesi per costituire una comunità composta da almeno 3 suore. Le suore, che sono alloggiate nei locali parrocchiali di S. Savino, hanno come impegno primario i servizi pastorali e caritativi quali la visita e la cura dei soggetti bisognosi presso le strutture ecclesiali e pubbliche del territorio diocesano con particolare riferimento alla Casa del Clero, alla Parrocchia di S. Savino e all’ospedale civile di Faenza.
La seconda Comunità di Suore dovrebbe formalmente costituirsi nel prossimo mese di ottobre a Russi, sempre che si riescano ad ottenere i visti e i permessi richiesti dalla normativa vigente per l’ingresso in Italia. La nuova Comunità religiosa, composta da almeno tre suore, è quella della Congregazione delle Religiose della Sacra Famiglia dell’Helmet, un Istituto di diritto pontificio che ha sede a Bruxelles. Le religiose saranno ospitate nei locali della Parrocchia di Russi e avranno come impegno primario la presenza nei momenti di preghiera e nelle celebrazioni, i servizi pastorali e caritativi quali, a titolo esemplificativo, la visita agli anziani, ai malati, alle famiglie, nelle abitazioni e nelle strutture sanitarie della parrocchia di S. Apollinare in Russi, la collaborazione nella catechesi soprattutto dei bambini e dei genitori, la visita settimanale ai bambini dell’Asilo Giardino Farini, associato alla FISM.
Esprimiamo, quindi gratitudine al Signore per una presenza religiosa che potrà svolgere un prezioso servizio nelle nostre comunità.
Comunità Energetica Rinnovabile Ecologia Integrale
In occasione dei precedenti incontri del clero ho avuto modo di aggiornarvi sulla costituzione della Comunità Energetica Rinnovabile – CER. Esattamente due anni fa, nel settembre 2022, è iniziato questo percorso con la nomina di un’apposita commissione che ha avviato il complesso lavoro di analisi, di studio e di elaborazione delle proposte operative finalizzate alla costituzione di una Comunità energetica, dato che era ed è richiesto l’esame di problematiche economico-finanziarie, giuridico-fiscali, tecnico-progettuali, socio-ambientali, nell’ambito di una legislazione statale e regionale ancora in divenire. Il cammino si è positivamente concluso lo scorso 31 maggio con la costituzione della Società cooperativa denominata “Comunità Energetica Rinnovabile Ecologia Integrale” a rogito del Notaio Paolo Castellari. Soci fondatori della CER sono stati: la Diocesi di Faenza-Modigliana, il Seminario diocesano Pio XII, le Parrocchie di S. Michele Arcangelo in Brisighella, di S. Biagio in Cosina, di S. Stefano Papa in Cattedrale, di S. Antonino, di S. Savino, di S. Martino in Reda, di S. Apollinare in Russi, di S. Maria in Alfonsine, di S. Apollinare in Villanova di Bagnacavallo, la Società Immobiliare Faentina srl, la Fondazione “Marri-S. Umiltà”. Inoltre, Diocesi, Seminario, Società Immobiliare Faentina srl, Fondazione “Marri – S. Umiltà” hanno sottoscritto o sottoscriveranno a breve le quote di capitale previste dallo statuto per acquisire la qualità di soci sovventori contribuendo così a costituire la dotazione finanziaria che consentirà alla CER di cominciare a lavorare. Il primo Consiglio di amministrazione è composto da: Stefano Lega, Angela Esposito, Andrea Pazzi, Don Luca Ghirotti, Don Davide Ferrini, Andrea Ercolani, Giovanni Malpezzi, Luciano Caroli, Massimo Alberti. Il Consiglio di amministrazione nella prima seduta ha eletto Presidente e Vicepresidente della CER rispettivamente Giovanni Malpezzi e Angela Esposito. Il lavoro che attende la CER e il suo Consiglio di amministrazione è ora quello di avviare l’attività operativa promuovendo l’allargamento della Comunità Energetica a quanti, e non sono pochi, hanno già manifestato l’interesse ad aderire e procedendo alla realizzazione di impianti fotovoltaici nel nostro territorio.
Come sapete tutto è nato dalla 49^ Settimana sociale dei cattolici, che si è svolta a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021 con il tema Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso. La Settimana sociale aveva indicato quattro obiettivi concreti:
1) costruire comunità energetiche;
2) diventare una società carbon free e votare col portafoglio per premiare le aziende capaci di intrecciare valore economico, dignità del lavoro e sostenibilità ambientale;
3) promuovere e utilizzare prodotti caporalato free;
4) creare alleanze intergenerazionali e con la società civile.
Al primo posto, quindi, era stata indicata proprio la costituzione di comunità energetiche. Nel decreto di nomina della Commissione scrivevo che “la scelta di costituire una comunità energetica è prima di tutto una scelta etica, frutto di un cammino di riflessione a partire dall’enciclica Laudato sì e fondato sulla consapevolezza che l’umanità intera è chiamata a prendersi cura della casa comune. Tale scelta consente, altresì, di sperimentare che l’ecologia integrale proposta dalla Chiesa si può tradurre in un impegno concreto per realizzare un nuovo modello di sviluppo umano, economicamente sostenibile, giusto e inclusivo, contribuendo alla decarbonizzazione e a garantire la sicurezza energetica del Paese”.
Ho avuto più volte occasione di ribadire che in tale processo era auspicabile che fossero coinvolte le parrocchie e le scuole cattoliche e che nell’attuale contingenza di crisi energetica la scelta di costruire comunità energetiche non corrispondeva solo ad una scelta etica, ma anche ad una precisa necessità di carattere economico per affrontare la povertà e l’insicurezza energetica di nostre realtà parrocchiali, educative, scolastiche, aggregative, ma anche di numerose famiglie le cui difficoltà sono state aggravate da alluvioni e da terremoti.
Il lavoro compiuto dalla Commissione e che ha portato alla costituzione della CER corrisponde in pieno alle richieste che avevo formulato all’inizio del percorso. Ciò emerge anche dagli orientamenti assunti, con particolare riferimento alla decisione secondo cui la Comunità Energetica avrà come primo obiettivo uno scopo sociale: aiutare i soggetti membri che si trovano in particolari condizioni di povertà e di insicurezza energetiche. Pertanto, la Comunità dovrà agire affinché la transizione energetica sia accessibile anche a chi è in difficoltà (soprattutto famiglie ed enti ecclesiastici). La conseguenza è che i soggetti che hanno aderito e che aderiranno a tale progetto, specie quelli che non si trovano in situazioni di povertà energetica, devono essere consapevoli che il primo obiettivo della propria adesione non è tanto il risparmio in bolletta o l’acquisizione di particolari utilità legate agli incentivi – anche questo, certamente -, ma un alto esercizio di solidarietà verso chi ha più bisogno.
Lo statuto della Comunità Energetica esprime formalmente e sinteticamente tutto ciò. Infatti, l’art. 3 (Scopo mutualistico) rimarca che: “la cooperativa è retta e disciplinata secondo il principio della mutualità, non ha fini di lucro e, nel perseguire l’interesse generale della comunità, fornisce prevalentemente benefici sociali, ambientali ed economici a livello di comunità ai propri soci ed alla comunità in cui opera piuttosto che profitti finanziari. Essa, dunque, persegue l’interesse generale di contribuire a combattere la povertà energetica e sociale mediante la riduzione dei consumi, la condivisione di energia da fonti rinnovabili, la calmierazione delle tariffe di fornitura attraverso la produzione locale, l’autoconsumo diffuso e l’efficienza energetica.
Al contempo essa intende far partecipare i soci, consumatori e/o produttori di energia, ai benefici della mutualità favorendo l’accesso, nei modi previsti dall’ordinamento, a forme di autoconsumo diffuso di energia prodotta da fonti rinnovabili, fornendo loro beni e servizi alle migliori condizioni possibili anche attraverso l’organizzazione, la gestione, la pianificazione e la progettazione della condivisione di energia ovvero la valorizzazione e l’incentivazione economica dell’energia nella disponibilità della comunità energetica rinnovabile.
Essa concretizza un modello di sviluppo umano sostenibile in coerenza con la visione dell’ecologia integrale proposta dalla Chiesa cattolica ed opererà affinché la transizione energetica sia accessibile per tutti coloro che si trovano in condizioni di insicurezza e povertà energetica, in particolare soggetti vulnerabili, famiglie a basso reddito ed enti ecclesiastici”.
L’art. 4 (Oggetto sociale) prevede, tra le tante attività che la Comunità Energetica potrà esercitare per raggiungere lo scopo mutualistico di cui all’art. 3, “la realizzazione di servizi per la collettività in grado di generare benefici economici, ambientali e sociali alla comunità in cui opera la cooperativa, riservando particolare attenzione ai bisogni dei soggetti in condizione di povertà energetica e/o vulnerabilità”.
Per una conclusione
In quanto coinvolto nella responsabilità della Caritas, in un momento storico particolare, caratterizzato da due tragiche alluvioni, dal terremoto e da una devastante tromba d’aria, non posso non esprimere il mio ringraziamento, ai parroci, ai responsabili della Caritas, ai loro collaboratori e ai molti volontari, alla Caritas nazionale e di tante Diocesi, per il sostegno fattivo alla popolazione e alla Diocesi. Si è stati impegnati non solo nell’aiuto alle parrocchie, alle famiglie, alle varie istituzioni colpite, alle varie comunità religiose. Ci si è anche prodigati nella riqualificazione di appartamenti per offrirli ai nuclei famigliari bisognosi. A breve sarà inaugurata l’attività della ludoteca comunale ospitata negli ambienti risanati che accoglievano vari uffici della vecchia curia, a piazza XI Febbraio n. 10. Così sarà inaugurato il Centro diurno “Francesca Cimatti”, la Casa di accoglienza per anziani che è gestita dalla cooperativa L’Alveare e ha sede in via Pantoli, nel territorio della parrocchia di san Antonino.
+ Mario Toso
[1] https://www.diocesifaenza.it/wp-content/uploads/2024/05/FAENZA-MODIGLIANA-SINTESI-III-ANNO.pdf
[2] Francesco, Spes non confundit, 6.
[3] Francesco, Spes non confundit, 25.
[4] Francesco, Spes non confundit, 3.
[5] Dicastero per l’Evangelizzazione, Nota, 2 agosto 2024.
[6] Francesco, Spes non confundit, 23.
[7] Penitenzieria Apostolica, Norme sulla Concessione dell’Indulgenza Giubilare, p. 74.
[8] Ibidem.