Trebbio, 11 agosto 2024.
Carissimi giovani e educatori, sono lieto di essere qui con voi a presiedere la Messa a conclusione del campo. Avete riflettuto sulle piccole e grandi chiamate del Signore, sull’essere responsabili, sulla libera offerta di sé stessi per amore, sino al compimento della vita terrena. Si è trattato di un campo non qualsiasi. In particolare, di un campo di servizio, nato per rispondere alle esigenze del nostro territorio ancora ferito da varie catastrofi naturali del 2023: alluvione e frane, turbine nella «Bassa», terremoto nel Mugello e dintorni. Mi congratulo per la scelta, frutto di una presa di coscienza lucida e realista. Molti – adulti, giovani, associazioni, forze civili e dell’ordine, volontari provenienti da tutte le Regioni d’Italia, Diocesi, Caritas, banche, autorità, ministri, Presidente della Repubblica – si sono attivati nell’emergenza. Davvero abbiamo assistito ad una mobilitazione generale, a molteplici iniziative di solidarietà. E, tuttavia, dopo tanto impegno non sono ancora risolti i molti problemi creati, oltre alle persone e alle famiglie, alle case, ai campi, alle fabbriche, alle infrastrutture, all’ambiente. C’è ancora bisogno di iniziative comunitarie, di sostegno alle persone, alle attività sociali e produttive. C’è bisogno della cura degli alvei dei fiumi, di una nuova cultura per affrontare con nuovi approcci la gestione del territorio. È chiaro che lo scenario in cui ci troviamo è mutato, come anche, per conseguenza, sono mutate le nostre responsabilità nei confronti dell’habitat, della gestione delle risorse, del creato. Bisogna sempre più prendere coscienza che l’universo va custodito e aiutato a svilupparsi in Dio. Uniti strettamente al creato da cui dipendiamo siamo chiamati a prendercene cura.
In un contesto di umanità e natura ferite, ma anche di cultura inadeguata, a causa del prevalere di paradigmi individualistici, consumistici e tecnocratici, è davvero provvidenziale ed importante la parola di Dio che abbiamo sentito proclamare. San Paolo ci sollecita a non rattristare lo Spirito Santo di Dio che è in noi. Ci è stato donato non perché lo conserviamo per noi e basta, ma per trasformarci, per trasfigurare le relazioni, per redimere il mondo. Più precisamente, l’apostolo ci incoraggia a camminare nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio (cf Ef 4, 30- 5,2).
Perché riusciamo a camminare nella sua carità – ossia secondo l’amore di Dio Trinità – Gesù stesso ci invita a nutrirci di Lui, pane vivo disceso dal cielo: Io sono il pane vivo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno (cf Gv 6, 41-51). Siamo chiamati a nutrirci di Cristo per divenire come Lui pane che si dona sino a dare tutto sé stesso.
Alla fine di una settimana impegnativa di lavoro, in definitiva, ci viene detto ove possiamo trovare le energie per il dono incessante di noi stessi, per cambiare le cose, per avere una fede non marginale o privata, per organizzare la speranza e vincere la «cultura dello scarto». La vita che il Signore ci offre è eterna, non finisce mai, supera il tempo.
Impegniamoci, dunque, a camminare nell’amore di Cristo. Sarà più facile continuare a realizzare gli obiettivi individuati nel campo. Attingiamo all’amore di Cristo che si fa Eucaristia. Viviamo in comunione con Colui che è venuto a darci la sua vita d’amore, perché siamo ovunque persone per gli altri, per il dono, per la cura e per lo sviluppo dell’umanità e del creato, per la giustizia e la pace, per Dio.
Con quale atteggiamento di fondo?
Per attingere a piene mani all’amore di Cristo di cui abbiamo bisogno occorre che non siamo eccessivamente centrati e ripiegati sul nostro io, su una mera autorealizzazione, senza interessarci della vocazione e della libertà altrui. La ricerca spasmodica della felicità individuale ci priva di responsabilità fraterna nei confronti dei più giovani, della società, del bene comune. Ci chiude in noi stessi, nella nostra insufficienza.
L’accoglienza di Cristo e del suo amore importa che siamo aperti a Lui, alla trascendenza, alla creazione di comunità di discepoli missionari, testimoni del Risorto. I grandi santi, innamorati di Cristo, desiderosi di propagare il suo Vangelo, divennero fondatori di Ordini e Congregazioni volendo realizzare la forma di vita degli Apostoli.
Quali le pratiche cristiane che siamo chiamati a coltivare nel tempo?
Perché Cristo venga ad abitare in noi, a vivere con noi, nella nostra anima, per plasmarla come fa il vasaio, non basta un incontro fugace, saltuario con Lui.
Cari giovani, occorre imparare a riconoscerlo presente in noi, a stare con Lui, a frequentarlo con costanza, a meditare la sua Parola, a vivere le profondità del suo mistero di amore, per immedesimarci con Lui, accettando i nostri limiti, la consapevolezza di essere piccoli. Senza Gesù Cristo non comprenderemmo noi stessi, il senso della vita che si spende per gli altri, per annunciarLo a tutti.
Purtroppo, l’odierna cultura, frammentata e fluida, ci porta ad essere lontani da noi stessi, da Dio. Ciò genera inevitabilmente insicurezza, fragilità di convinzioni, instabilità nelle decisioni, facile influenzabilità, dipendenza passiva e acritica dall’opinione comune. Non dimentichiamo che non possiamo attendere dai pur importanti progressi dell’informatica e delle tecnologie digitali degli ultimi decenni quanto solo Dio – Via Verità e Vita – può darci. Senza di Lui c’è la parvenza del bene, conoscenza per l’appunto artificiale, verosimile, superficialità, e alla fine il vuoto esistenziale, benché si viva in una società raffinata ed evoluta tecnologicamente.
Indicazioni solide di senso le troviamo praticando la preghiera, l’adorazione, l’unione con il Verbo di Dio incarnato (con relativa spiritualità «immersiva»), l’ascesi e l’offerta di sé. Solo quanto viene sacrificato – ossia offerto a Dio – può considerarsi consacrato, gradito a Lui. Noi diventiamo capaci di amore solo vivendo in quel Signore Gesù che ha già fatto di sé un sacrificio perfetto, reso attuale e accessibile a noi nell’Eucaristia. In tutto quello che pensiamo, progettiamo, facciamo, è importante che viviamo in comunione con lo Spirito d’amore di Cristo.
Come suggeriva Gesù a santa Teresa d’Avila, non affanniamoci per chiudere Lui in noi, ma cerchiamo di immergere noi in Lui.
Solo così diventeremo capaci di pensare e di amare come Lui, buon samaritano. Solo così potremo essere creatori di nuove comunità di credenti, di una nuova cultura, di superare l’analfabetismo religioso che ci circonda e tenta di invaderci. Grazie allo Spirito d’amore potremo essere profeti e persone visionarie, che coltivano nei nostri territori cenacoli di apostoli ardenti, vocazioni laicali, religiose, presbiterali intrepide, coraggiose. Al termine della nostra vita, come papa Benedetto XVI ci ha insegnato, potremo dire al Pastore dei pastori con l’ultimo respiro «Signore ti amo».
+ Mario Toso