[giu 27] Intervento – La questione etica della democrazia. La riposta dei pontefici

27-06-2024

Premessa

In un contesto di terza guerra mondiale, in cui viene a prospettarsi una nuova configurazione dell’Occidente europeo rispetto alle grandi potenze mondiali emergenti, sembra essere messa in crisi la «promessa» fondamentale che la modernità aveva immesso nel genoma della democrazia: l’emancipazione della soggettività e la liberazione dalle catene del dominio eteronomo per essere realmente autonomi e, per questo stesso, più liberi. Se alla fine del secolo scorso la democrazia sembrava poter affermarsi in tutto il mondo, all’inizio di questo secolo appare ovunque in crisi. La sua promessa di libertà per tutti i popoli viene indebolita sia sul piano del funzionamento delle istituzioni democratiche (istituzioni di governo ai diversi livelli – da quello locale a quello internazionale –, parlamenti, partiti), sia sul piano del coinvolgimento popolare nei processi decisionali ed elettorali (si pensi all’astensionismo e alla disaffezione), sia sul piano della sua anima etico-culturale. Nonostante l’accrescimento della comunicazione, prevalgono la frammentazione sociale, l’individualismo utilitarista, che lasciano poco spazio per pensarne il futuro. Con cittadini e rappresentanti intrappolati vieppiù in forme populiste ed illiberali di democrazia, diventa sempre più difficile realizzare la democrazia sostanziale, partecipativa, solidale, deliberativa, inclusiva, dal basso.[1]

 

  1. La crisi della democrazia contemporanea

L’attuale crisi della politica, dei partiti e della democrazia, ormai ampiamente svuotata dei suoi ideali, specie quello della libertà, è sotto gli occhi di tutti.[2] Tale crisi – intesa, per un primo verso, come deficit di rendimento dei sistemi democratici e, per un secondo verso, come sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e delle élite politiche democratiche – è un fenomeno rilevante, ampiamente studiato e discusso anche in ambito politologico. Non a caso si può constatare che, a proposito della democrazia, si parli, fra l’altro, di malessere, di autoritarismo, di «pazzo-democrazia», di democrazia senza democratici, di democrazia insoddisfatta,[3] recitativa.[4] Alla fine del ventesimo secolo, scrive Emilio Gentile, «la peggiore forma di governo, eccetto tutte le altre» sembrava destinata a trionfare nel mondo. Nel 1991 Norberto Bobbio riteneva che non fosse «troppo temerario chiamare il nostro tempo l’era delle democrazie». Ma nel primo ventennio del ventunesimo secolo, la democrazia rappresentativa e partecipativa appare ovunque in crisi. Appare in crisi soprattutto la sua anima etico-culturale,[5] senza dimenticarne la crisi strutturale. Oggi, inoltre, appare chiaro che, a fronte della rinascita di nazionalismi arcaici, solo una visione sovranazionale, coniugata in termini di solidarietà e di sussidiarietà, può salvare le democrazie, superando sovranismi asfittici.

 

  1. La crisi della promessa fondamentale della democrazia viene da lontano

Va rilevato che la crisi etica dell’attuale democrazia non è una questione solo del nostro oggi,[6] legata alla temperie culturale neo-individualista e mercatista contemporanea.

Essa, a onore del vero, viene da lontano, dalle stesse premesse antropologiche individualiste ereditate dalla cultura moderna, grembo in cui ha preso forma. In particolare, discende dall’aporia principale della filosofia moderna, secondo la quale il soggetto è un essere radicalmente libero ed utilitario.[7] Ritenendosi alieno da ogni morale, non può, per sé, convivere con altri soggetti. Eppure, per un altro verso, come ha insegnato Tommaso Hobbes, non può sopravvivere senza associarsi e, quindi, senza osservare una legge positiva. Si tratta di una legge sostanzialmente estranea rispetto ai suoi interessi particolari, accettata come un espediente, sebbene con riserva, per non perire. All’atto pratico, nella collaborazione sociale, rispetto all’osservanza dei diritti, l’uomo si ritrova praticamente sprovvisto di ragioni superiori, indipendenti dai suoi interessi più immediati. Tra le conseguenze, che giungono sino a noi, vi è il fatto che l’atmosfera simbolica, caratterizzante le attuali culture, appare gravitare verso una comunicazione pervasiva e rigidamente controllata da modelli consumistici, pragmatici e tecnocratici. E così, in quest’epoca della post-modernità, segnata dal demone della paura e da una cultura «fluida»,[8] che inizia mille processi di cambiamento, ma non ne porta a termine nessuno, prevale un individualismo libertario ed utilitarista, che mette a repentaglio il cuore etico della democrazia e la libertà stessa.

 

  1. Fenomenologia della crisi della libertà

Oggi, come già accennato, nel mondo si stanno attestando nuovi equilibri economici e politici che si strutturano attorno ad altri centri, che non sono più l’Europa e gli Stati Uniti. Lo stanno dimostrando le ultime guerre in corso, tra Russia e Ucraina, tra Israele e Hamas. La globalizzazione, pur dotata di aspetti positivi, ma non adeguatamente regolata, instaura nuove comunicazioni ed interconnessioni, che favoriscono la concentrazione del potere finanziario e tecnologico nelle mani di pochi.

La rivoluzione tecnologica non orientata in maniera umanistica porta a forti squilibri occupazionali e distributivi, al capitalismo dei robot, a diseguaglianze crescenti.

Il mondo che si sta costruendo si manifesta come una trappola senza vie di scampo per i più deboli e i più poveri, un mondo ove sovrastano implacabili dinamismi che stringono le maglie della libertà e riconducono, come ai tempi degli Stati assoluti, ad una vita fondamentalmente eterodiretta, alienata.

Di fronte a tutto questo, occorre umanizzare le istituzioni pubbliche, diventa necessario ridare un’anima etica alla vita economica, politica e democratica, oltre che alla cultura. Urge ripensare e rimodellare in senso umanistico lo sviluppo tecnologico, affinché non sia considerato quale mero processo tecnocratico, autosufficiente, onnipotente. L’assolutismo della tecnica impedisce di cogliere ciò che oltrepassa la semplice materia. Solo andando al di là del puro fare tecnico, scorgendone il fondamento antropologico ed etico si riesce a riconoscerne la trascendenza, l’origine e il fine. Lo sviluppo è collegato, oltre che con il fare tecnico, con la crescita spirituale e morale, perché la persona è sinolo di anima e di corpo nata dall’amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente.

Questo, in ultima analisi, significa giungere ad intercettare l’insopprimibile desiderio di vero, di bene e di Dio e la indisgiungibile vocazione alla libertà, da cui è inabitato ogni essere umano. È con il retto esercizio della libertà che ogni persona decide di sé, dell’orientamento da dare alle proprie attività, al proprio compimento in Dio. Nella persona umana, la libertà è intimamente connessa alla ricerca della verità e del Bene supremo. Non è solo per un’esistenza fine a sé stessa. Fiorisce attraverso un’esistenza in relazione, che si realizza mediante il dono di sé, prendendosi cura dell’altro, del bene comune. La libertà non è soltanto spezzare le proprie catene, ma anche accrescere la libertà altrui.[9] Purtroppo, anche oggi non mancano gesti di una violenza efferata, cieca e vile. La libertà viene conculcata brutalmente. Recentemente il Segretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede. Sua Ecc. Mons. Paul Richard Gallagher, ha denunciato che il fondamentalismo, ma anche il sovranismo e la laicità ideologici, minacciano la libertà religiosa. La violazione del diritto alla libertà religiosa ha l’effetto di minare non un solo diritto, bensì l’intera categoria dei diritti umani. Oltre 365 milioni di cristiani subiscono alti livelli di persecuzione per la loro fede.[10]

L’abbondante fenomenologia ci mostra come essa ci è scippata in più modi, senza che ce ne accorgiamo. Non a caso i negoziatori del Parlamento europeo e degli Stati membri dell’UE si sono prontamente mossi per concordare un progetto di legge in materia di intelligenza artificiale. La sfida è colossale, non dilazionabile. Il settore dell’editoria, del mondo del lavoro, della stessa democrazia sono messi in gioco dai vari sistemi di IA per quanto concerne il primato delle persone e la loro libertà.[11]

Ma la libertà è sottratta anche ai disperati di quegli ingenti flussi migratori che segnano il nostro pianeta con esodi biblici, inseguendo il sogno di una “terra promessa”, di un mondo più giusto e pacifico. Ne sono defraudati tutti coloro che periscono quali vittime di tratte umane e di conflitti sanguinosi, coloro ai quali non è concesso di venire al mondo o di rimanerci. Talvolta è pericoloso anche esprimere liberamente le proprie opinioni, perché, persino nelle Giunte amministrative delle nostre città, si può finire in liste di proscrizione. Non sono da trascurare gli incomprensibili «moniti», ricevuti dalla Corte Europea, a proposito dell’obiezione di coscienza dei medici cattolici in tema di aborto. I fatti ci confermano che spesso il medico, fedele alla propria coscienza, viene praticamente ostracizzato e penalizzato nella carriera.

Non molto tempo fa, il 2 luglio 2024, è giunta dal noto giornale Le Figaro anche la notizia del deferimento alla giustizia civile di due vescovi in Belgio (prima il cardinale e vescovo emerito di Malines-Bruxelles, Jozef De Kesel e, poi, il vescovo successore Luc Terlinden) perché colpevoli di «discriminazione di genere», in quanto avrebbero negato a una donna l’accesso ad un corso per il diaconato. Il tribunale civile di Mechelen il 25 giugno 2024 si è espresso a favore della donna denunciante perché l’uguaglianza tra uomini e donne è uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto. Il caso manifesta di fatto un totalitarismo giuridico grossolano: sono i magistrati che dettano le leggi nella Chiesa e le correggono se, secondo loro, sono sbagliate, compiendo una chiara ingerenza, ignorando la distinzione dei campi che viene regolata solitamente mediante trattati o concordati opportuni tra Stato e Chiesa. È palese, poi, la contraddizione in cui cade il suddetto tribunale che condanna i due vescovi pur dichiarandosi incompetente a definire chi può essere ammesso o meno alla formazione diaconale.

 

  1. Come uscire dalla crisi? Sciogliere il nodo cruciale tra democrazia e libertà

 

La crisi della democrazia va affrontata seriamente, intervenendo su quel punto nodale che è il rapporto tra democrazia e libertà, perché è impossibile che la prima possa sussistere senza la presenza di persone libere e responsabili. Se non si riconnette la democrazia alla persona concreta, alla libertà, come suo punto di partenza e di arrivo, permane il rischio di implosione. Si protrae nel tempo una sensazione di spaesamento, di abitare in un edificio ancora in piedi – non si sa fino a quando – ma sempre sul punto di crollare, senza vedere all’opera energie in grado di restaurarlo o di ricostruirlo. Non a caso, la cultura cristiana e, in particolare, la Dottrina sociale della Chiesa (=DSC) si è attivata per tempo, per dare ad essa, come fondamento stabile, coscienze capaci di ricercare il vero, il bene e Dio.

Vale la spesa fermarsi per considerare, sia pure in maniera sintetica, come la DSC è venuta incontro alla fragilità antropologica ed etica congenita della democrazia, quale è emersa dalla cultura moderna e si protrae, in varie forme, nel nostro oggi.

In proposito, non è da dimenticare che la Chiesa, allorché si cominciò a parlare di libertà e di democrazia, si mostrò contraria, perché la prima veniva fondata su una coscienza delirante e la seconda, su un giusnaturalismo immanentista, su una sovranità popolare assoluta, come unica fonte dei diritti e dei doveri dei cittadini. Già, però, con Leone XIII, se il nuovo diritto non poteva essere approvato e avvallato in toto, a causa della sua base razionalistica e naturalistica, si riconosce ciò che di sano esso conteneva. Il pontefice, nell’enciclica Libertas praestantissimum (=LI) del 20 giugno 1888,[12] a fronte di uno Stato liberale, che intendeva strutturarsi come Stato di diritto, fondato unicamente sulla volontà generale e su una concezione egalitaria della libertà, assolutizzata ed intesa individualisticamente, propone un concetto di libertà connesso intrinsecamente con la verità, con il bene e con Dio. È così che Leone XIII si porta al cuore del problema che attanagliava la cultura del suo tempo. Egli riprende il discorso partendo da dove erano stati recisi dal razionalismo naturalista e individualista, i legami fra pensiero e retta ragione, fra coscienza e bene, fra libertà e verità morale, fra etica e politica. Dal riannodare le libertà delle persone con la verità e con il bene, dall’informare le legislazioni umane, gli atti di comando da una parte e gli atti di obbedienza dall’altra ‒ per quanto possibile ‒, con i contenuti della legge morale naturale, per il pontefice dipendeva il futuro dell’uomo, della società civile e degli Stati. La concezione di una libertà disancorata dal riferimento a Dio e ai valori assoluti ha la consistenza delle sabbie mobili, su cui non si può fondare alcuna salda morale né si può costruire una prospera e pacifica convivenza civile. L’esagerata esaltazione della libertà, patrocinata dall’agnosticismo liberale, apre le porte in campo personale al soggettivismo e all’individualismo etico e, in campo sociale, all’assolutismo del potere e all’anarchismo. Nel denunciare i pericoli di una libertà sradicata dalla verità sull’uomo e su Dio, Leone XIII si mostrò profeta. Egli intuì e predisse i mali delle rivoluzioni, e i regimi autoritari e totalitari, che non molti anni dopo si abbatteranno sull’Europa.

Non a caso Giovanni Paolo II, più di cento anni dopo, affrontando la questione sociale, movendo da una prospettiva culturale più personalista, richiama il valore perenne delle affermazioni centrali della Libertas praestantissimum.[13] Per rifondare le democrazie contemporanee e per superare la cultura neo-utilitarista e neo-individualista, occorre disporre di una libertà capace di legarsi alla verità su Dio e sull’uomo.

Radicando la democrazia in un impianto di antropologia personalista e comunitaria, aperta al Trascendente, la DSC supera così la tradizione liberale, che molto aveva insistito sui temi del­lo Stato a servizio dei singoli, del­l’uguaglianza e del­la libertà individuale, quest’ultima intesa soprattutto come libertà da, ossia libertà negativa. Questo concetto venne superato, rifiutando sia la concezione anarchica sia la concezione individualistica di libertà, che all’atto pratico fu la concezione preferita ed enfatizzata dal­la maggioranza del­le correnti della tradizione liberale. Il popolo e la democrazia, di cui parla la DSC, sono invece entità che sprigionano da libertà responsa­bili, solidali: libertà nel­l’ordine morale e, pertanto, libertà che non contraddicono ­l’uguaglianza di dignità e di opportunità, ­la fraternità, il bene comune, ­la giustizia sociale. Anzi, perseguono questi valori e sono ad essi ministeriali.

Oggi, per varie ragioni, la democrazia sembra svincolarsi dall’idea di una libertà intesa in senso positivo. Tutti i valori sono messi in discussione, tranne uno: la libertà di scelta, idolatrata e assolutizzata, sino a renderla libertà di potenza e di dominio, che crea la verità e il bene; che dispone incondizionatamente della propria e dell’altrui esistenza; che dissocia la sessualità dall’identità delle persone.[14]

Ma le democrazie in cui i cittadini vivono la loro libertà di scelta come altrettanti dèi – senz’altra restrizione che quella di non importunare il vicino –, si trasformano inevitabilmente in regimi illiberali, ipocriti e ingiusti, in cui il primato del bene comune e della giustizia si dissolve.

La catastrofe antropologica contemporanea, che investe le democrazie, le rende incapaci di tutelare la vita dei cittadini, specie dei più deboli. Nell’età dell’io onnipotente, che si considera fonte suprema del vero e del bene, l’unica soluzione che rimane percorribile è quella di passare dall’«io» al «noi»: al «noi di persone», al «noi di popoli», uniti nell’unica grande famiglia umana. L’io cresce nel suo compimento coltivando la sua relazione con altri io, entro i vari «noi». La persona, in quanto essere spirituale, oltre che corporeo, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo e la donna valorizzano sé stessi, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. Senza gli altri e senza Dio la persona umana non riesce a comprendere pienamente sé stessa. La maggior forza a servizio dello sviluppo integrale, inclusivo, ma anche a favore della democrazia è un umanesimo trascendente, aperto agli altri e a Dio. L’umanesimo che esclude Dio e la crescita degli altri diventa inevitabilmente un umanesimo antiumano, antidemocratico.

La nostra vita sociale e, in specie, la vita democratica sussistono, come si vedrà meglio più avanti, nel magistero sociale di papa Benedetto XVI e di papa Francesco, ove ci sono legami forti, comunione morale tra i molti «io» e i «noi di persone», carità e fraternità, oltre che verità e libertà, giustizia sociale. Al contrario, la vita personale e comunitaria immiserisce, specie quando domina la pretesa di appartenere solo a sé stessi e si vive come tante isole senza ponti di collegamento. Le persone non sono fatte per vivere nelle metropoli dell’indifferenza o sulla tomba delle comunità. Sono fatte per amare, per comunicare, per la comunione fraterna, per il dono reciproco e disinteressato. Sono chiamate ad uscire da sé stesse per formare dei «noi», per trovare negli altri un accrescimento d’essere.[15] La possibilità di cogliersi in profondità è legata alla presenza di un tu che, col suo sguardo, consente all’io di essere. Il noi, presente nell’io e nel tu, li trascende come un novum che non aveva esistenza prima del loro incontro. Ciascuno dei tre poli io-tu-noi è impensabile senza gli altri e tuttavia è radicato autonomamente nell’essere. La relazione, infatti, genera un noi, reale come l’io e il tu, ma anche dipendente da essi. Il noi mostra i lineamenti di una «persona», emergente sempre più chiaramente in relazione alla qualità del rapporto. Una comunità è una Persona nuova che unisce diverse persone, legandole nell’intimo.[16]

I gruppi chiusi, le persone e le comunità autoreferenziali, ovvero gli «io» e i «noi di persone» raggomitolati in sé stessi, non favoriscono una relazionalità aperta e diffusa, non animano la democrazia in forma dinamica e vitale, generativa del bene comune. Ne indeboliscono l’anima etica e rendono sterile il tessuto delle varie reti sociali. La democrazia, per vivere e crescere, deve essere popolata da persone e da gruppi di persone che collaborano tutti insieme alla realizzazione del bene di tutti. Detto diversamente, tra i diversi «io» e i diversi «noi», che la compongono, deve sussistere comunicazione, un dinamismo di comunione e di collaborazione verso il bene di altri «io», verso il bene di altri «noi», verso il «noi» più grande che è il popolo intero e il suo bene politico. Un tale dinamismo trova il suo fondamento generativo e propulsivo nell’amore fraterno, che è all’origine del popolo e della vera democrazia.

Nella democrazia, al primo posto, prima delle istituzioni, delle regole procedurali e delle stesse religioni, stanno le persone, i gruppi di persone, con la loro dignità, la loro libertà e responsabilità, i loro diritti e doveri. Le persone e i vari «noi di persone», unificati liberamente e moralmente in un popolo, sono i soggetti che originano ed orientano i vari processi della democrazia verso il bene comune. Lo sviluppo integrale, sostenibile, inclusivo è il fine.

Poiché l’ideale della democrazia – non tanto (o solo) come forma di governo – è strettamente connesso con la parte migliore della persona, ed è quasi una sfida dell’uomo a sé stesso, rinunciarvi sarebbe come abbandonare la vocazione al compimento umano. È una conquista dei secoli scorsi il convincimento che la promozione della persona umana è inscindibile dallo sviluppo della democrazia, intesa soprattutto come incessante costruzione di senso e di forma di vita sociale e politica, mediante il concorso di tutti­­. Senonché oggi, come già detto, si pone un ostacolo non insignificante. A causa di un prevalente substrato culturale di stampo individualistico, libertario ed utilitario, la questione democratica finisce per configurarsi per noi in termini non solo sociologici, strutturali o giuridici ma soprattutto di approfondimento critico e valoriale della dignità trascendente della persona, mediante l’ausilio di saperi come la metafisica e la teologia. Solo a partire da tali premesse gnoseologiche e morali è possibile pensare alla ricostruzione dell’ethos del popolo, della cultura politica, dei beni-valori che costituiscono la sostanza del télos umano. Analogamente, diventa più agevole, rispetto specialmente alle derive oligarchiche della democrazia, alla delegittimazione della rappresentanza, allo scollamento fra istituzioni e popolo, al dominio dei poteri economici e finanziari sulla politica, l’imprescindibile ri-costruzione dell’anima etico-culturale del popolo, della sua «soggettività», in termini di libertà e di responsabilità, di unione morale. Ugualmente, sono facilitate la ri-politicizzazione della vita della democrazia, nonché la rigenerazione del «politico» su basi di libertà e di solidarietà.

 

  1. Giovanni Paolo II: un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona e della sua libertà

San Giovanni Paolo II va menzionato nel contesto del nostro discorso anzitutto perché afferma con franchezza che «la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno».[17] Sulla base di una simile descrizione della democrazia, il pontefice polacco si augura, di conseguenza, che il sistema democratico non favorisca la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici si impadroniscono dei poteri dello Stato. Detto altrimenti, la democrazia non è un sistema immutabile ed intangibile. La sua esistenza più autentica è condizionata dalla simultanea sussistenza di uno Stato di diritto e da una retta concezione della persona.

L’apporto della CA alla riforma della vita democratica e dello Stato del benessere è vasto e non può essere esaurito in poche battute.[18] Per questo ci fermiamo solo su alcuni nuclei della proget­tualità tratteggiata dalla CA, che propone il rinnovamento della politica, della vita democratica e dello Stato del benessere assistenzialistico, sulla base di un ritrovato dialogo fra verità e democrazia,[19] fra etica e democrazia, fra cultura politica e cristianesimo.

Oggi, come già accennato, è ampiamente riconosciuto che la crisi della democrazia, oltre che strutturale, è soprat­tutto crisi morale, crisi di valori. È necessario, allora, il recupero dei valori morali, ai due livelli, personale e sociale. Alla stagione dei diritti deve affiancarsi la stagione dei doveri.

Ma, se i più convengono sull’urgenza della riforma morale della democra­zia, ritrovando una nuova unità attorno a beni-valori comuni, pochi sembrano dispo­sti a riconoscere loro un qualche fondamento oggettivo. Così, se molti parlano dell’urgenza della riforma delle regole del gioco della democrazia, pochi credono in una società politica basata anzitutto sulla comunione: come comuni­cazione e condivisione di conoscenze nella luce del vero; come impulso e richiamo al bene morale; come nobile comune godimento del bello, in tutte le sue legittime espressioni; come permanente disposizione a effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; come anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione ai valori spirituali.

Oggi, come ha rilevato A. MacIntyre nel suo ormai famoso volume After virtue, anche l’etica politica è dominata dall’etica di terza persona, ossia da un’etica che, avendo perso come punto di riferimento il télos dell’uomo, riduce la vita morale ad un insieme di norme e di precetti da osservare e nulla più.[20] L’etica di terza persona mira a creare un assetto sociale ove l’uomo come soggetto di desideri o l’uomo come soggetto autonomo possa fare ciò che vuole senza danneggiare altri, o danneggiandoli solo per un migliore risultato. Dei modi e dei mezzi finalizzati alla soddisfazione dei desideri o dell’uso degli spazi di libertà da parte di ciascuno, l’etica di terza persona si rifiuta di parlare. Sarebbe una questione puramente privata e soggettiva. Ognuno dovrebbe poter gestire a piacere la propria vita. In questo modo però, il sistema dei principi e delle norme è messo tacitamente a servizio del libero arbitrio dei singoli, a cui si vuol garantire la possibilità di soddi­sfazione di interessi e desideri.[21]

In sostanza, l’etica politica contemporanea sembra staccare l’etica del singolo da quella pubblica, per cui il cittadino, nell’ambito della convivenza sociale, agisce sulla base di regole universali, che non possono mai mancare, ma che vanno osservate solo per un dovere categorico e che esauriscono tutta la loro moralità nella legalità, codificata in un determinato periodo storico. In una società complessa e pluralista come quella odierna, non è possibile fare altrimenti. La convivenza si salva solo con regole che impongono l’al­truismo. In essa è richiesta, in definitiva, un’unica virtù: la disposizione a frenare l’egoismo per comportarsi secondo le regole stabilite dalla comunità. Nelle leggi della convivenza contemporanea e nel concetto di virtù che essa richiede non c’è un vero riferimento ultimo a valori, a beni umani oggettivi, ricercati per realizzare una vita buona in tutti gli atti liberi della perso­na. Le leggi della convivenza curano solo le azioni di giustizia e le azioni verso gli altri, le azioni concernenti la vita esteriore. E questo, non dal punto di vista della condotta personale, ma da quello di un osservatore ester­no, imparziale, quale il giudice o il legislatore.

E tuttavia, quando anche nella vita sociale e politica si perde il riferimento al télos della natura umana, l’esito non può essere che il relativismo o addirittura il nihilismo morale, che al più lasciano spazio a un emotivismo morale altrettanto relativistico. Difatti, quando il fondamento ultimo dell’azione morale è costituito da norme e precetti a partire dal punto di vista di un osservatore esterno alla persona, questa non sperimenterà mai il senso di una cogenza vera, proprio perché tali norme e precetti sono imposti dall’imperativo categorico: «Devi agire così», che non risponde alla domanda: «Perché devo agire così?».

Per animare e per sostanziare la comunione della società politica democratica contemporanea, Giovanni Paolo II propone la presenza di una cultu­ra ricca di valori, non escludente quella sana contestazione che rende più vivi, attuali e personali i valori ereditati dalla tradizione;[22] e, perciò, cultura che rifiuta l’agnosticismo e il relativismo scettico.[23]

Sembra, qui, trovare una chiara allusione a quelle dottrine giuridiche e politiche contemporanee, come quella di H. Kelsen, di K. Popper, di B. Acker­man,[24] per i quali la verità e il bene oggettivi sono inconoscibili (su di essi sono possibili solo opinioni) e, comunque, sono nemici dichiarati della demo­crazia, la quale può vivere solo in simbiosi con il relativismo etico e lo scetticismo.

In breve, secondo Giovanni Paolo II, il relativismo scettico e l’agno­sticismo non possono generare quella coscienza di appartenenza ad una comunità e quell’unità di convergenza verso mete comuni, di cui una nazione democratica ha bisogno per vivere. Se nella vita di un popolo prevalgono agnosticismo e relativismo scettico, si apre la strada alla lotta di tutti contro tutti e, ultimamente, alla corruzione e al dispotismo di pochi, cose peraltro già previste da Platone e da Aristotele.

Ma Giovanni Paolo II, mentre afferma che una democrazia senza valori cade preda del totalitarismo, contemporaneamente prende le distanze dal fana­tismo e dal fondamentalismo di quanti pretenderebbero di imporre la loro verità e la loro concezione del bene agli altri. Rischi, che nel passato non lasciarono immune la stessa Chiesa: si pensi alla dottrina secondo la quale, non avendo l’errore alcun diritto, anche l’uomo nell’errore non poteva avere diritti propri.

Inoltre, sulla scorta della tradizione cristiana più autentica e dell’insegnamento del Concilio vaticano II, il pontefice dichiara che la verità cristiana e la fede cattolica non sono ideologiche. Esse riconoscono sia l’autonomia dell’ordine sociopolitico sia la dimensione storica dell’esistenza e della libertà umane. Il rispetto della libertà è il metodo della Chiesa, la quale, mentre evangelizza, partecipa secondo la propria competenza alla liberazione integrale dell’uomo. La libertà che può avvantaggiare l’ordi­ne democratico, però, è solo quella che si svolge nell’ordine morale, in collegamento con la verità ontologica ed etica: «In un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l’uomo è esposto alla violenza delle passioni ed a condizionamenti aperti od occulti».[25]

 

  1. Benedetto XVI e gli antidoti allo sfaldamento dello Stato di diritto

 

Secondo Benedetto XVI si assiste allo sfaldamento della figura dello Stato di diritto, il quale in epoca moderna era sorto sulla base di un patrimonio di elementi normativi che furono gradualmente sottratti all’arbitrio degli Stati assoluti, confluendo nelle Carte costituzionali degli Stati democratici. In un contesto culturale, caratterizzato da un relativismo etico assolutizzato e dal summenzionato  neoindividualismo libertario, che non fanno altro che alimentare la separazione tra culture e struttura permanente – ontologico ed etica ‒ dell’essere umano,[26] si pone proprio il problema della controvertibilità dei presupposti normativi dello Stato liberale di diritto, e della conseguente necessità di ricercare da dove essi possono trarre stabilità, dal momento che il principio di maggioranza non è atto a garantirli. Pur essendo nati come codificazione del diritto naturale nel diritto positivo, tali presupposti sono stati progressivamente divelti dalle loro radici primigenie, al punto che oggi il diritto positivo non è più ritenuto un riflesso dell’ordine morale naturale. La conseguenza di tutto ciò è che ‒ come è stato rilevato da vari studiosi, tra i quali possiamo citare Ernst-Wolfgang Böckenförde ‒, dopo la completa positivizzazione del diritto, lo Stato liberale non appare in grado di tutelarsi e di conservare le sue strutture giuridiche, perché non possiede in proprio e definitivamente quei valori da cui è stato generato e di cui necessita per sussistere.[27] Come documenta l’esperienza legislativa contemporanea, infatti, è proprio il principio di maggioranza che, permettendo in certa maniera una fondazione «autonoma» dei principi costituzionali dello Stato liberale di diritto, giunge a cambiarli e, a volte, addirittura a sostituirli con principi contrari.

Si stanno, infatti, moltiplicando i tentativi di stravolgimento nei confronti di ciò che può essere definito l’ultimo «resto» del diritto naturale. Basti pensare alle varie proposte di includere l’aborto e l’eutanasia nel catalogo dei diritti umani fondamentali. Ciò è riuscito, ad esempio, alla Francia, nella quale c’è stata l’approvazione del parlamento francese di una risoluzione che eleva l’aborto a diritto fondamentale.[28]

Molte di queste proposte non equivalgono ad un aggiornamento dei diritti umani. Documentano, piuttosto, come i diritti non siano più pensati quali espressioni della dignità dell’uomo in quanto creatura di Dio, aventi un fondamento nella legge morale naturale. Si tratta, spesso, di pretese arbitrarie, prive di un fondamento obiettivo. Nascono da schemi culturali di natura meramente sociologica, sempre soggetti ai mutamenti della sensibilità dominante nei vari momenti storici e senza riscontro nella struttura antropologica ed etica degli esseri umani. E così, non di rado avviene che gli stessi aiuti economici ai Paesi in via di sviluppo, da parte di istituzioni internazionali ‒ anch’esse sfigurate da visioni libertarie ed utilitariste del diritto ‒, vengono condizionati all’adozione di legislazioni che contrastano non solo la dignità dell’uomo e i suoi diritti naturali, ma anche le sensibilità etiche e religiose dei vari popoli.

La devastazione antropologica contemporanea diviene palese soprattutto quando ci si riferisce alle odierne problematiche della bioetica e del senso della vita, attinenti alla manipolazione genetica. Sono questioni che appaiono sottoposte alla discrezione e ai diktat delle maggioranze parlamentari, che dovrebbero invece attenersi a quella legge morale, i cui germi sono insiti nella coscienza di ogni uomo.[29] Va riconosciuto che lo Stato non può farsi paladino di concezioni e ideologie che mirano a «snaturare» l’identità dell’uomo e della famiglia, né tantomeno promuovere attività che sottomettono indiscriminatamente la vita umana, il creato, agli sviluppi della tecnica. Le questioni che attengono alla vita ed alla dignità della persona, quali la clonazione umana o il sacrificio di embrioni per fini di ricerca, non possono essere affrontate avendo a mente solo le statistiche e ciò che è tecnicamente possibile, ma valutando attentamente ciò che è moralmente lecito.

In definitiva, lo Stato democratico di diritto, sorto come istituzione che tutela e promuove i diritti delle persone e delle comunità sulla base di una Carta costituzionale, appare sempre più in difficoltà. Non raramente entra in conflitto con sé stesso, ossia con il proprio ordinamento giuridico, mostrandosi incapace di mantenere integri, con le proprie risorse e regole procedurali, i presupposti normativi che stanno alla sua base. Lo comprova il fatto che sovente, nel novero dei diritti omologati, entrano presunti diritti di carattere arbitrario e voluttuario,[30] che si vorrebbero promossi dalle stesse strutture pubbliche, violando o disconoscendo diritti elementari e fondamentali.[31]

Cosa bisogna fare?

Secondo Benedetto XVI, i principi costituzionali dello Stato liberale, nonché i diritti e i doveri omologati nei suoi ordinamenti giuridici, ricavano solidità e cogenza da fonti esterne allo Stato, indisponibili rispetto alla regola procedurale della maggioranza. Quando, invece, trovano il loro fondamento ultimo soltanto nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini, «possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune».[32] I Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l’oggettività e l’«indisponibilità» dei diritti. Quando ciò avviene, il vero sviluppo dei popoli è messo in pericolo. Questo perché non è detto che quanto è approvato dalla maggioranza sia sempre giusto dal punto di vista morale. Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è anzitutto frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità delle persone umane, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolativo della vita politica. Se non vi è un consenso generale su tali valori, si smarrisce il significato profondo della democrazia e si compromette la sua stabilità.

In altre parole, per la Caritas in veritate lo Stato liberale di diritto può sussistere quando non è autarchico, ossia quando – nella convergenza verso il bene comune –, trova il vincolo sociale e politico che lo compatta a partire dalle famiglie culturali e religiose che lo compongono, e dall’esperienza e dalla condivisione di una legge morale universale.

Una democrazia, in cui i cittadini non riconoscono una legge morale universale, individuabile da tutti e quindi passibile di imporsi a tutti, si trasforma in una convivenza politica incapace di giustificare, come validi per ogni persona, i valori che emergono dalla sua storia. Parimenti, non è in grado di difenderli quando sono aggrediti da chi è portatore di altri valori, opposti ed incompatibili. Una democrazia diviene garante di uno Stato di diritto, solo se riconosce con chiarezza l’esistenza di una misura condivisa di verità e di bene, maturante entro preesistenti esperienze sociali e religiose, e che non sia controvertibile e manipolabile.

Ma che cosa rende disponibile una simile misura? Che cosa favorisce la crescita di un solido consenso morale intorno ai valori fondamentali e alla necessità di viverli con rinunce coraggiose, che spesso vanno anche contro l’interesse personale?

Secondo Benedetto XVI, una misura condivisibile di verità e di bene, come anche un robusto consenso morale da parte dei cittadini, sono disponibili in una comunità politica, quando essa promuova il diritto alla libertà religiosa,[33] quando apra alle religioni uno spazio pubblico, ove esse possono offrire la loro proposta di «vita buona», in un libero e disciplinato confronto plurale. La laicità dello Stato non è mera neutralità nei confronti delle diverse confessioni. Significa invece accoglienza e, insieme, imparzialità, riconoscimento, senza ingiusti privilegi per nessuna di esse. Quando lo Stato promuove, insegna o addirittura impone l’indifferenza religiosa o l’ateismo pratico, si impoverisce, perché si priva di una essenziale forza morale e spirituale,[34] decisiva per gli ethos delle società civili e delle democrazie.

La figura dello Stato di diritto può avere maggior vigore e non essere devastata dall’affermazione soggettivistica ed individualistica dei diritti umani, quando la coscienza di un popolo affonda costantemente le sue radici in quella ricerca comune della verità,[35] del bene e di Dio che, come ha pure sottolineato papa Benedetto, solo la libertà religiosa alimenta. È la verità che è la linfa vitale di ogni società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. Senza «la ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé e del proprio agire, aprendo la strada dell’affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l’idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell’indifferenza che nasce dall’egoismo, frutto di una concezione dell’uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un’autentica dimensione sociale».[36]

Per quanto sin qui detto, è facile comprendere come l’Europa debba impegnarsi nella salvaguardia del diritto alla libertà religiosa. Grazie alla garanzia della libertà religiosa per tutti, i popoli europei possono attingere a quelle radici profonde – radici religiose –[37] che costituiscono le fondamenta sulle quali poggia lo Stato di diritto. L’oblio di Dio mette a repentaglio la coscienza sociale dei popoli, privandola di quella tensione morale che è imprescindibile per il rafforzamento etico dello Stato di diritto.

Lo Stato di diritto e la libertà religiosa sono pregiudicati non solo dal relativismo etico assolutizzato e da un neoindividualismo arbitrario, ma anche, come aveva già segnalato Giovanni Paolo II, dal laicismo, dal fanatismo e dal fondamentalismo, fenomeni quanto mai attuali. Si pensi, ad esempio, alla tragedia umanitaria in Iraq, che colpisce le popolazioni cristiane, yazide, shabak, turcomanne, curde, sciite e sunnite, provocata dal cosiddetto Stato islamico (Is), che ha attivato una guerra di religione, di conquista e di annientamento.

  1. Papa Francesco: democrazia, carità e fraternità

Nel contesto della terza guerra mondiale a pezzetti, le democrazie del mondo stanno vivendo una crisi profonda, interrelata con altre crisi come quella economica, climatica, alimentare, migratoria. La crisi afghana di anni fa ha mostrato che la democrazia non può essere esportata, ossia impiantata dall’esterno, in un conteso socioculturale che si mantiene impermeabile ad una visione trascendente della persona, ad una laicità aliena dalla morale naturale. La democrazia fiorisce là ove non solo si potenziano i meccanismi istituzionali che massimizzano le possibilità di discussione, la continua correzione delle scelte, l’informazione sulle decisioni di interesse comune e la pubblicità del dibattito. Essa ha bisogno di un ethos diffuso tra la popolazione, di stili di vita orientati da una vita buona, del riferimento ad una verità morale fondata non solo sul consenso ma anche razionalmente. Il destino della democrazia è legato al rispetto della persona concepita nella sua integralità e nella sua trascendenza relazionale, in senso orizzontale e verticale. Per la vita della democrazia non bastano brandelli di verità etica, come hanno sostenuto Kelsen e Popper. Se non esiste nessuna verità oggettiva non vi è nulla che orienta l’azione politica. Prevalgono gli interessi immediati e il bene comune svanisce.

Nel suo insieme, l’enciclica Fratelli tutti (=FT)[38] di papa Francesco offre la descrizione dei principali fattori di crisi delle attuali democrazie, come il populismo e l’individualismo radicale, che sono antagonisti del bene comune  e, nello stesso tempo, indica ciò che è indispensabile per rafforzarle, come ad esempio una migliore vita politica che si struttura e si commisura alla dignità delle persone, alla loro libertà e al loro compimento umano in Dio grazie ad una carità piena di verità, alla carità sociale. La carità politica, col suo dinamismo universale, si impegna a riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella.[39] La carità sociale aiuta a vivere un’amicizia che include tutti. Consente di pensare società e mondi aperti, senza frontiere.

In tempo di terza guerra mondiale a pezzi e di società ferite siamo posti di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli e di lavorare tutti insieme per la custodia e lo sviluppo in Dio del creato,[40] per la pace.[41] Ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto. Occorre non lasciare la politica in mano di pochi, ai loro giochi di potere. È possibile cambiare le cose cominciando dal basso e caso per caso, lottando per ciò che è concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura del viandante di Samaria.[42] Per papa Francesco occorre, pertanto, crescere nella fraternità samaritana. La relazione fraterna è quel legame sociale che rafforza la nostra vocazione di cittadini, ma anche il senso di appartenenza alla pólis, la cura della casa comune, secondo il principio dell’ecologia integrale.[43] La nostra vita sociale e, in specie, la vita democratica, come già anticipato nelle riflessioni dei primi paragrafi di questo saggio, sussistono ove ci sono legami forti, comunione morale tra i molti «io» e i «noi di persone», carità e fraternità, oltre che verità e libertà, giustizia sociale. Al contrario, la vita personale e comunitaria immiserisce, il pianeta viene danneggiato irreparabilmente.

La democrazia, per vivere e crescere, deve essere popolata da persone e da gruppi di persone che collaborano tutti insieme alla realizzazione del bene comune, il bene di tutti. Detto diversamente, tra i diversi «io» e i diversi «noi», che la compongono, deve sussistere comunicazione, un dinamismo di comunione e di collaborazione verso il bene di altri «io», verso il bene di altri «noi», verso il «noi» più grande che è il popolo intero e il suo bene politico, verso il bene della famiglia umana. Un tale dinamismo, secondo la FT, trova il suo fondamento generativo e propulsivo proprio nell’amore fraterno.

Secondo papa Francesco ci può aiutare a realizzare democrazie «a più alta densità» – è questa un’espressione usata dal pontefice prima ancora di diventarlo –[44] ciò che si può anche definire il Vangelo della fraternità samaritana, ossia una fraternità che ama e si prende cura di chi è derubato, svantaggiato ed è povero.

La fraternità va considerata, assieme alla libertà, alla verità, alla giustizia e all’amore – quei beni-valori che erano già stati indicati da san Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris – uno dei pilastri fondamentali dell’ordine sociale e della vita democratica.

 

  1. La politica animata da un amore pieno di verità, dalla «caritas in veritate»

Papa Francesco, riflettendo sulla crisi della democrazia contemporanea e sulle sue derive populiste e sovraniste, ma anche su quelle liberali e individualiste, facendo appello proprio ad una migliore politica, indica, dunque, la carità e la fraternità quali fattori imprescindibili per la sua rigenerazione e il suo sviluppo. La politica e la democrazia si irrobustiscono quando siano potentemente animate anzitutto dalla virtù teologale della carità.  La carità è virtù cardinale, virtù cristiana, che orienta ed unifica gli atti delle varie virtù nella costruzione della vita personale e della vita comunitaria. La carità è un amore più che umano. È infusa da Dio e dal suo Spirito nelle persone per renderle capaci di amare come si ama nella Trinità, come ama Cristo.

L’amore-carità, come amore pieno di verità, consente alla politica e, per conseguenza, alla democrazia, di tendere costantemente alla loro perfezione. Perché? Perché l’amore-carità, connesso alla verità, ricorda papa Francesco, è realista,[45] ovvero è un amore più grande di quello semplicemente umano. È amore costantemente aperto all’altro tu, e si impegna a realizzare tutte le condizioni che sono necessarie alla concretizzazione del bene comune, il bene di tutti, specie dei più poveri, tramite responsabilità, solidarietà e partecipazione.

A fronte dei problemi della democrazia contemporanea, c’è bisogno, in definitiva, di una sana e grande politica, ossia con una visione ampia, capace di un approccio integrale alle questioni sociali, di riformare le istituzioni, di coordinarle, di dotarle di buone pratiche.

La grandezza della politica si mostra quando opera sulla base del bene comune a lungo termine,[46] attento alle generazioni presenti, ma soprattutto a quelle future. È grande la politica che non pensa solo ai risultati elettorali immediati. Di una grande politica ha bisogno la società mondiale che per le sue riforme strutturali non necessita di rattoppi, ma di soluzioni lungimiranti.

La grande politica, la vera politica, ha bisogno dell’amore politico. È animata dall’amore politico, ossia da un esercizio alto della Carità, cioè da un amore che, come già accennato, riconosce ogni essere umano, compreso il povero e lo straniero, come un fratello o una sorella; da un amore che crea percorsi e processi sociali di fraternità e di giustizia efficaci.

La Carità sociale e politica ci fa amare il bene comune e ci fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone. È scaturigine del popolo, del vero popolo, in cui ognuno, mediante la collaborazione con gli altri al bene comune, riconosce sé stesso.

La Carità politica non è un sentimento sterile.  È molto di più di un sentimento soggettivo, perché si accompagna all’impegno per la verità.[47] Proprio per il suo rapporto con la verità favorisce un dinamismo universale ed è base di una civiltà dell’amore. Senza la verità, l’emotività si vuota di contenuti sociali oggettivi. La Carità per essere maggiormente sé stessa ha bisogno di verità, quella della ragione e quella della fede.[48]

La Carità si articola su più piani di espressione. L’attività dell’amore politico crea istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali. È Carità politica innalzare strutture perché il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria. Se è Carità stare vicino a una persona che soffre, è pure Carità tutto ciò che si fa per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. «Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica».[49]

La vera carità politica non è quella che promuove strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. La vera carità politica agisce in modo da rendere ogni essere umano artefice del proprio destino assieme agli altri.

Il politico è un realizzatore, un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio e pragmatico.  «Le maggiori preoccupazioni di un politico non dovrebbero essere quelle causate da una caduta nelle inchieste, bensì dal non trovare un’effettiva soluzione al fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato».[50]

  1. Dialogo e identità in una società senza frontiere: a mo’ di conclusione

Le affermazioni della FT, ma non solo, ci danno occasione di riflettere sulla dimensione teologica della politica e della democrazia. Se si afferma che la carità è principio architettonico della politica e della democrazia è chiaro che con ciò si intende proporre di viverle a partire dall’esperienza di una vita incentrata sull’amore di Cristo, su un amore trinitario.

Un tale amore non toglie nulla all’autonomia e alla laicità della politica e della vita democratica. Al contrario, le difende e le rafforza offrendo energie morali nuove, superiori a quelle semplicemente umane, tali da liberare, umanizzare sempre di più l’impegno del bene comune. L’amore teologale della carità porta la politica e la democrazia a vivere ad un livello più alto di realizzazione.

Dallo studio della Dottrina sociale della Chiesa e dai suoi sviluppi, specie a partire dal suo inserimento nell’ambito della teologia morale, avvenuto con la Sollicitudo rei socialis, emerge sempre più l’urgenza di una nuova evangelizzazione del sociale e della politica.[51] Una tale evangelizzazione sollecita a cogliere la dimensione sociale della fede,[52] come anche la vocazione cristiana, non solo umana, all’impegno sociale e politico.

L’enciclica FT, sempre più conscia della crescita del pluralismo culturale e religioso, specie a seguito delle migrazioni, è convinta che la democrazia contemporanea è sottoposta, nel caso non si investa nel dialogo e nell’amicizia sociale, in un’integrazione socio-culturale, ad una complessificazione e ad un pluralismo divaricato, dannosi per la comunione dei valori e per l’unità della coscienza sociale del popolo, della democrazia. Per questo, papa Francesco insiste sull’importanza del dialogo come via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale. Naturalmente si tratta di un dialogo che esige di essere arricchito e illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da apporti di diversi saperi e punti di vista, e che non esclude la convinzione che è possibile giungere ad alcune verità fondamentali che devono e dovranno sempre essere sostenute. Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale, essenziale per dare una nuova anima alla politica e alla democrazia. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso, li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili.[53]

«L’autentico dialogo sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi. A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia ancora più completo».[54]

A fronte delle proposte di riforma che sono al centro dell’attuale dibattito politico-parlamentare italiano (premierato e autonomia differenziata) senza volere entrare nel dettaglio tecnico-giuridico, la Dottrina Sociale della Chiesa offre un orientamento di carattere generale. Il processo legislativo che potrebbe portare sia il premierato che l’autonomia differenziata alla loro eventuale applicazione nel nostro ordinamento – considerata e osservata scrupolosamente e rigorosamente la loro costituzionalità non solo formale ma anche sostanzialeÈ -, va proseguito commisurandolo sempre più al bene comune, ossia al bene di tutti, in modo che non sia dannoso alla dignità di persone-cittadini libere e responsabili, aperte alla trascendenza. Il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, nel suo discorso in occasione dell’apertura della 50esima edizione della Settimana sociale dei cattolici in Italia a Trieste (3-7 luglio 2024), citando Norberto Bobbio, ha rammentato che «le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze». In altri termini, in democrazia la maggioranza non ha il diritto di tiranneggiare, di esercitare un potere senza limiti. A coloro che siedono in Parlamento e che hanno responsabilità di governo a tutti i livelli istituzionali, si richiede, in particolare, una profonda conoscenza della Carta costituzionale e del suo impianto personalista che supera un approccio di parte rispetto a questioni che riguardano l’intera comunità. È evidente che ciò presuppone una adeguata formazione culturale del personale politico e amministrativo. Ma ciò oggi appare piuttosto difficile in quanto, in un contesto di vasta devastazione antropologica come quella che si è verificata e si protrae in questi anni nella nostra società, la suddetta formazione appare ardua, un’impresa ricca di sfide. E, tuttavia, non si deve perdere la speranza. Occorre un netto recupero rispetto alla chiusura ideologica a Dio e all’ateismo dell’indifferenza, che fanno dimenticare il Creatore e, insieme, i valori umani. Senza Dio, si legge nella conclusione della CIV, l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. Lo sviluppo integrale, inclusivo, come anche la crescita di una democrazia a misura della dignità delle persone e dei popoli, hanno bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio, nel gesto dell’adorazione e della preghiera.  Occorrono credenti consapevoli che l’amore pieno di verità non si lascia sopraffare da emozioni passeggere, tantomeno si fa vincere da ideologie seduttrici. L’amore dei christifideles implica una spiritualità incarnata, vissuta in Cristo, che ricapitola in sé tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra. Se il mondo, la vita e il futuro, tutto, in certo modo, è dell’uomo, questi non può assolutamente ignorare, che è di Cristo e Cristo è di Dio (cf 1 Cor 3, 22-23). È vivendo Cristo, nell’opera redentrice del Verbo incarnato, morto e risorto che possiamo sperare di umanizzare le nostre società e la democrazia con il suo Spirito.

Se la democrazia – non tanto (o solo) come forma di governo – è strettamente connessa con la parte migliore della persona, ed è per questo una sfida dell’uomo a sé stesso, è chiaro che tutto ciò che guarisce il cuore dei cittadini e li rende capaci di amare il popolo come ama Cristo, guarisce anche le democrazie a «bassa intensità», mantenendole società aperte ed inclusive, specie dei più poveri. La carità sociale e la fraternità liberano le democrazie dalla cultura dello scarto che, come ha detto papa Francesco a Trieste in occasione della 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (7 luglio 2024), costruisce città e democrazie dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i migranti, i vecchi, la giustizia sociale. Uno Stato, ha aggiunto il Pontefice citando Aldo Moro, non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali integra la propria personalità.[55]

[1] Per uno sguardo complessivo sull’apporto dei pontefici relativamente alla dimensione etica della democrazia si veda M. Toso, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.

[2] Occorre rilevare che l’espressione «crisi della democrazia» è equivoca. In primo luogo, la si può intendere in senso neutro, quindi non in un’accezione negativa, e ancora meno catastrofista, bensì come trasformazione della democrazia. Ad esempio, è il caso di Bernard Manin, quando delinea il passaggio dalla democrazia dei partiti alla democrazia del pubblico, all’interno di un’analisi nella quale si individuano i connotati sia della prima che della seconda (cf B. MANIN, Principi del governo rappresentativo, Il Mulino, Bologna 2010). In secondo luogo, «crisi della democrazia» può significare che una determinata cultura politica considera la democrazia esistente come una democrazia fittizia, in ogni caso gravemente lacunosa e perciò da superare in vista di un’altra democrazia. Pensiamo, fra l’altro, al dibattito sulla cosiddetta democrazia formale, la democrazia esistente nei Paesi occidentali, contestata dai Paesi dell’area socialista, in nome di una democrazia effettiva ancora da edificare. In terzo luogo, si possono nutrire perplessità sull’uso dell’espressione «crisi della democrazia», poiché, il più delle volte, non soltanto viene adoperata senza specificarne il significato, ma anche in modo assai discutibile. In questo breve saggio, la si intende in un senso prevalentemente neutro, come spiegato appena sopra, ovvero nel senso di un’opportunità che può essere colta per propiziare cambiamenti positivi, tralasciando quelli negativi.

[3] Si tratta di una letteratura molto vasta. Qui, ci limitiamo a rimandare ai seguenti volumi: S. J. Pharr- R. D. Putnam (a cura di), Disaffected Democracies. What’s Troubling the Trilateral Countries, Princeton University Press, Princeton 2000; G. Zagrebelsky, La democrazia e la felicità, a cura di E. Mauro, Laterza, Roma-Bari 2011; C. Galli, Il disagio della democrazia, Einaudi, Torino 2011; E. Gentile, Il capo e la folla, Laterza, Roma-Bari 2016.   Ma si vedano anche: Strade e Pensieri per Domani, È ancora possibile una buona politica? Stili e obiettivi, Edizioni Paoline, Milano 2023; C. Galli, Democrazia ultimo atto?, Einaudi, Torino 2023; M. Conway, L’età della democrazia. L’Europa occidentale dopo il 1945, Carocci editore, Roma 2023; M. Barberis, Separazione dei poteri e giustizia digitale, Mimesis edizioni, Milano 2023; F. Pastore, Migramorfosi. Apertura o declino, Einaudi editore, Torino 2023; T. Boeri-R. PerottI, PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano 2023; S. Cassese, Le strutture del potere, Intervista di Alessandra Sardoni, Editori Laterza, Bari-Roma 2023; A. Colombo, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2022. Dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa può essere consultato: M. Toso, Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016.

[4] Cf E. Gentile, Il capo e la folla, Laterza, Roma-Bari 2016. Secondo Emilio Gentile la democrazia recitativa non nega la libera scelta dei governanti da parte dei governati: la rende semplicemente irrilevante per la politica del capo dopo l’elezione al governo. Simile alla democrazia criticata dagli antichi greci, la democrazia recitativa è una raffinata forma di demagogia, che vorrebbe far apparire la democrazia del capo e della folla la migliore fra le migliori forme di governo. Mentre, nella realtà, può essere la peggiore fra le peggiori, perché opera per mantenere i governati in una condizione permanente di moltitudine apatica, beata o beota, simile alle gioiose famiglie degli spot pubblicitari, ma comunque servile, incapace persino di accorgersi di vivere in una democrazia recitativa dove la libertà, come la scelta e la revoca dei governanti, è solo una delle parti assegnate in copione.

[5]  Su questi aspetti si legga B. Bignami, Dare un’anima alla politica, Prefazione del Card. Matteo Zuppi presidente della CEI.

[6] Sulla crisi della politica e della democrazia contemporanea si possono leggere con frutto: A. Colombo, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2022; Strade e Pensieri per Domani, È ancora possibile una buona politica? Stili e obiettivi, Edizioni Paoline, Milano 2023; C. Galli, Democrazia ultimo atto?, Einaudi, Torino 2023; M. Conway, L’età della democrazia. L’Europa occidentale dopo il 1945, Carocci editore, Roma 2023; M. Barberis, Separazione dei poteri e giustizia digitale, Mimesis edizioni, Milano 2023; F. Pastore, Migramorfosi. Apertura o declino, Einaudi editore, Torino 2023; T. Boeri-R. Perotti, PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano 2023; S. Cassese, Le strutture del potere, Intervista di Alessandra Sardoni, Editori Laterza, Bari-Roma 2023; ID., Miseria e nobiltà d’Italia. Dialoghi sullo Stato della Nazione, Solferino, Milano 2024. Dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa può essere letto: M. Toso, Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016; ID., Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.

[7] Su questo, ci permettiamo di rinviare a M. Toso, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS, Roma 2006, pp. 205-208.

[8] Cf Z. Bauman, Il demone della paura, Laterza-L’Espresso, Roma-Bari 2014.

[9] Cf M. Magatti-C. Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 20165, p. 30.

[10] Cf P. R. Gallagher, Libertà religiosa e sviluppo umano integrale, in «L’Osservatore romano» (mercoledì 5 giugno 2024), p. 7.

[11] Cf su questo almeno Francesco, Messaggio per la LVII Giornata mondiale della pace 2024, Intelligenza artificiale e pace 1° gennaio 2024; ID., Discorso alla Sessione del G7 sull’Intelligenza artificiale, venerdì 14 giugno 2024.

 

[12] Leone XIII, Lettera enciclica Libertas praestantissumus (20.06.1888), in «Acta Sanctae Sedis» (=ASS), 20, (1887-1888) 593-613.

[13]  Cf Giovanni Paolo II, Centesimus annus (=CA), Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1991, nn 4 e 17 (=CA).

[14] Su questo si legga anche Francesco, Discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, Aula della Benedizione (lunedì, 8 gennaio 2024).

 

[15] Queste affermazioni possono essere approfondite con l’aiuto del personalismo comunitario coltivato da alcuni filosofi francesi quali Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier. Su quest’ultimo, in particolare, merita che siano letti i contributi di vari pensatori contemporanei che ne hanno illustrato e commentato l’umanesimo relazionale in occasione del centenario della nascita (1905-2005). Si veda in proposito: M. Toso, (Ed.), Emmanuel Mounier. Persona e umanesimo relazionale. Nel Centenario della nascita (1905-2005), vol. I, LAS, Roma 2005, pp. 400; ID., (Ed.), Emmanuel Mounier. Persona e umanesimo relazionale: Mounier e oltre, vol. II, LAS, Roma 2005, pp. 489.

[16] Cf E. Mounier, Révolution personnaliste et communautaire, Oeuvres, col. III, p. 492, trad. it. p. 113.

[17] GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus (=CA) in AAS 83 (1991) 793-867. Per il testo italiano e la numerazione, si segue la raccolta I documenti sociali della Chiesa. Da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991, pp. 491-572, n. 46.  Per uno sguardo complessivo sul rapporto tra cattolici e democrazia si legga: E. Preziosi, Da Camaldoli a Trieste, Prefazione di Matteo Maria Zuppi, Vita e Pensiero, Milano 2024.

[18] Per uno sguardo complessivo sul pensiero sociale di Giovanni Paolo II si legga M. Toso, Welfare Society. La riforma del welfare: l’apporto dei pontefici, LAS, Roma 20032, pp. 388-500.

[19] Su questo binomio nella DSC cf E. Colom, Democrazia: libertà, verità e valori in «La società», 2 (1993) 243-264.

[20] Cf A. MacINTYRE, After Virtue: A Study in Moral Theory, Uni­versity of Notre Dame Press, Notre Dame/IN 1984, pp. 56ss.

[21] Cf G. ABBA’, Felicità, vita buona e virtù, Las, Roma, 1989, p. 100.

 

[22] Cf CA 50.

[23] Cf CA 46.

[24] Cf, ad es., H. Kelsen, I fondamenti della democrazia, Il Mulino, Bologna 19703, pp. 199-257; B. Ackerman, La giustizia sociale nello Stato liberale, Il Mulino, Bologna 1984, pp. 454-490. Per una rapida informazione su pensatori, anche italia­ni, che si collocano nello stesso alveo di pensiero relativistico e formalistico, cf E. Berti, Momenti della rifondazione etica della democrazia in AA.VV., Valori morali e democrazia, a cura di G. Galeazzi, Massimo, Milano 1986, pp. 104-115, specie pp. 108-110. Sul pensiero di H. Kelsen, cf anche R. Gatti, Abitare la città, Dehoniane, Roma 1992, pp. 188-194; V. Possenti, Le società liberali al bivio, Marietti, Perugia 1991, pp. 315-345.

 

[25] CA 46.

[26] Cf Benedetto XVI, Caritas in veritate (=CIV), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, N. 26. Si vedano anche l’edizione LAS (Roma 20102), dal titolo La speranza dei popoli. Lo sviluppo della carità nella verità, con lettura e commento da parte di Mario Toso; l’edizione Cantagalli (2009) con introduzione di S. Ecc. Mons. Giampaolo Crepaldi; l’edizione Libreria Editrice Vaticana-AVE (Città del Vaticano-Pomezia 2009) corredata dal commento di vari Autori (Franco Giulio Brambilla, Luigi Campiglio, Mario Toso, Francesco Viola, Vera Zamagni); l’edizione Libreria Editrice Vaticana-EDB, Città del Vaticano-Bologna 2009, con Linee guida per la lettura, a cura di Giorgio Campanini; e inoltre: Aa.Vv., Amore e Verità. Commento e guida alla lettura dell’Enciclica «Caritas in veritate» di Benedetto XVI, Paoline, Milano 2009. Infine, ci permettiamo di segnalare anche la lettura pastorale dell’enciclica da parte di M. Toso, Il realismo dell’amore di Cristo, Studium, Roma 2010.

[27] Su questi aspetti hanno fermato la loro attenzione anche Joseph Ratzinger e Jürgen Habermas. Si veda, ad esempio, J. Ratzinger-J. Habermas, Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2004.

[28] Considerare l’aborto come «diritto» apre un baratro di cui non si scorge il fondo: si praticherà quando e come si vuole, senza limiti, nei suoi confronti non varrà l’obiezione di coscienza, che pure è caposaldo delle libertà personali. Nell’ottica della decisione francese, chi obietterà si opporrà all’esercizio di un diritto, entrerà in uno spazio giuridico negativo, fino a poter subire sanzioni.

 

[29] Un caso che ha fatto discutere circa la competenza dello Stato ad interferire nella libertà di coscienza di individui e gruppi, è quello dell’obbligo imposto, tramite un mandato federale, dall’Amministrazione Obama alla Chiesa cattolica degli Stati Uniti, di offrire ai propri dipendenti copertura sanitaria per metodi contraccettivi e per pratiche abortive. Forzando così, contro coscienza, a sostenere pratiche di birth control anche coloro che le ritengono contrarie all’etica coerente con la propria fede. Non si tratta di un mero problema di diritto assicurativo. Si tratta di un gravissimo problema, connesso con il diritto alla libertà religiosa nel senso più ampio del termine, e con la missione universale della Chiesa. Per essere esenti da questa misura, gli enti cattolici dovrebbero dedicarsi all’evangelizzazione come unica missione e impiegare e prestare i loro servizi solo a persone di fede cattolica. Ciò contraddirebbe la stessa missione universale della Chiesa che, per volontà del suo fondatore, è al servizio di ogni uomo e di tutto l’uomo, indipendentemente dal credo di appartenenza. In definitiva, si tratta di una coartazione da parte di un Governo, che pretende di dire ad una comunità religiosa quale dev’essere la sua missione.

[30] «[…] i diritti individuali – si legge nella CIV -, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri. L’esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri. I doveri delimitano i diritti perché rimandano al quadro antropologico ed etico entro la cui verità anche questi ultimi si inseriscono e così non diventano arbitrio. Per questo motivo i doveri rafforzano i diritti e propongono la loro difesa e promozione come un impegno da assumere a servizio del bene».

[31] Cf CIV 43.

[32] Ib.

[33] Cf CIV 29.

[34] I limiti alle prerogative dello Stato nel campo della libertà di religione sono stati peraltro recentemente riaffermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale, con sentenza del 15 maggio 2012, ha definito il grado di autonomia delle confessioni religiose in materia di scelta del proprio personale docente incaricato di insegnare religione e morale anche nei centri di istruzione sovvenzionati dallo Stato.

[35] Secondo papa Francesco occorre coltivare una corretta cultura dei diritti. Essa deve germogliare da una antropologia che non sia monca. «Vi è infatti oggi – afferma papa Francesco ‒ la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali ‒ sono tentato di dire individualistici ‒, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (μονάς), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa. Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze» (Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 2014).

[36] Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa, 25 novembre 2014.

[37] Cf ib.

[38] Cf Francesco, Fratelli tutti (=FT), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020; M. Toso, Fratellanza o fraternità? Introduzione alla lettura dell’Enciclica «Fratelli tutti», Tipografia Faentina, Faenza 2021.

[39] La carità è molto di più di un sentimentalismo soggettivo, se essa si accompagna all’impegno per la verità. Proprio il suo rapporto con la verità favorisce nella carità il suo universalismo, preservandola dall’essere relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni (cf FT 184).

[40] Cf Francesco, Laudate Deum, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2023, n. 65.

[41] Cf M. Toso, Basta guerre. È l’ora della pace. Il ruolo dei cattolici: nonviolenza attiva e creatrice e impegno politico, Cittadella Editrice, Assisi 2023

[42] Cf FT 77-78.

[43] Cf Francesco, Laudato sì’, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015. Tra i commenti apparsi segnaliamo: S. Morandini, Laudato sì’. Un’enciclica per la terra, Cittadella Editrice, Assisi 2015; Aa.Vv., Curare madre terra, EMI, Bologna 2015; AA. VV., Cura della casa comune. Introduzione a Laudato sì’ e sfide e prospettive per la sostenibilità, a cura di J. I. Kureethadam, LAS, Roma 2015; A Spadaro, Laudato sì’. Guida alla lettura dell’enciclica di papa Francesco, in «La Civiltà cattolica», (11 luglio 2015), 3961, pp. 3-22; Aa.Vv., Abiterai la terra. Commento all’enciclica Laudato sì’, AVE, Roma 2015; E. Castellucci, La tela sfregiata. La responsabilità nell’uomo del creato, Cittadella Editrice, Assisi 2019; Aa.Vv., Ecologia e giustizia sociale nel solco dell’enciclica Laudato si’, in «Rivista di Teologia dell’evangelizzazione», anno XXIII, supplemento al n. 45 (2019), pp. 9-190.  Possono tornare utili, in vista dell’educazione ad una cittadinanza ecologica attiva e responsabile, raccomandata dall’enciclica, alcune pubblicazioni agili e di facile lettura come: A. Sella, Come cambiare il mondo con i nuovi stili di vita, a cura di Daniela Scherrer, EMI, Bologna 2013; M. Boschini, Nessuno lo farà al posto tuo. Piccolo ideario di resistenza quotidiana, EMI, Bologna 2013; M. Boschini-E. Orzes, I rifiuti? Non esistono!, EMI, Bologna 2014; M. Toso, Ecologia integrale dopo il coronavirus, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2020.

 

[44] Cf M. Toso, Riappropriarsi della democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2015 (prima ristampa), pp. 9-59. Una stesura più ampia degli stessi contenuti può essere trovata in ID., Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016.

[45] Cf FT 165.

[46] Cf FT 178.

[47] Cf ib. 183-184.

[48] Cf ib. 185.

[49] Ib. 186.

[50] Ib. 188.

[51] Cf M. Toso, Nuova evangelizzazione del sociale. Per una nuova cultura politica e di democrazia, Edizioni Chiesa di Faenza-Modigliana 2024.

[52] Cf M. Toso, Dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata di Dottrina sociale della Chiesa, LAS, Roma 2023.

[53] Cf ib. 211.

[54]  Ib. 203.

[55] Cf Francesco, Discorso in occasione della 50aSettimana Sociale dei Cattolici in Italia (2 luglio 2024).