Intervista da parte del dott. Gisotti Alessandro a S. Ecc. Mons. Mario Toso per Radio Vaticana, in occasione della pubblicazione del saggio «La nonviolenza, stile di una nuova politica della pace» (Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2017, pp. 110)
La nonviolenza invocata nel messaggio di Papa Francesco per la giornata della pace del 2017 sembra oggi particolarmente urgente in un contesto mondiale segnato dalle guerre. Cosa può fare il cristiano davanti ad una situazione che sembra così tanto più grande delle possibilità del singolo?
Nell’attuale contesto di molteplici focolai di conflitti nelle varie parti del mondo, e, soprattutto, di forte tensione fra Stati Uniti e Corea del Nord, diventa sempre più palese l’urgenza di trovare serie alternative a quella che potrebbe essere una terribile disgrazia per l’umanità, e cioè una guerra nucleare. Ci dovrà essere un impegno deciso da parte delle istituzioni internazionali. Torna qui attuale il tema della loro riforma come anche dell’innalzamento di una vera ed autentica Autorità politica mondiale, costituita democraticamente, dal basso, sulla base del principio di sussidiarietà. La costituzione di una tale Autorità (non superpotere) appare inevitabile: sia che si pensi a por fine allo scandalo intollerabile dell’estenuante corsa agli armamenti; sia che si decida un disarmo nucleare generale, avente per obiettivo la totale eliminazione delle armi nucleari; sia che si accetti, secondo il principio di sufficienza, l’idea di possedere solo le armi necessarie per la legittima difesa, ma che non siano nucleari; sia che si debba procedere alla protezione di popoli o gruppi oppressi. Ma assieme all’azione delle istituzioni pubbliche, nazionali o internazionali, dev’esserci anche quella delle società civili e delle istituzioni culturali e religiose.
Una riflessione proprio su queste ultime…
Quest’ultime, forse, in questi tempi, non si sono pienamente dedicate ad un compito strategico di sensibilizzazione e di educazione alla nonviolenza, com’era richiesto dall’aumento della violenza nel mondo. Forse, si è sottovalutata la crescita della violenza da parte delle istituzioni e nelle istituzioni politiche, oltre che nell’economia, nei mass media e nei social network. Un calo di attenzione sembra esserci stato anche nel mondo cattolico. Bene ha fatto, allora, papa Francesco a richiamare alla non violenza attiva e creativa. Il cristiano, davanti ad una situazione che sembra così tanto più grande della possibilità del singolo deve, anzitutto, riscoprire la propria vocazione, in Gesù Cristo, alla nonviolenza. E, in secondo luogo, impegnarsi, ovunque operi, nella realizzazione di uno sviluppo integrale, sociale, solidale, inclusivo, aperto alla trascendenza.
Qual è secondo lei una via privilegiata in questa direzione?
Via privilegiata, che irrobustisce la propria azione, è, senz’altro, l’adesione a quei movimenti sociali che combattono la violenza e investono sistematicamente sulla pratica della nonviolenza, che non è passività. Tutt’altro. Bensì, forza che contrasta il male e l’ingiustizia. L’impegno dei laici è quello di svuotare la violenza dall’interno, a vari livelli: psicologico-personale, etico e culturale, economico, sociale, politico e comunicativo. Non va dimenticato quanto ha suggerito, in particolare, papa Francesco, e cioè la rifondazione della politica, partecipando ad essa con competenza, onestà e amore al bene comune.
La “guerra mondiale a pezzi” di cui parla Papa Francesco sembra purtroppo sempre più una realtà. La voce dei popoli che soffrono sembra inascoltata. Qual è il ruolo specifico della Chiesa per favorire vie di pace?
Per vocazione la Chiesa è chiamata, in quanto dedita all’annuncio e alla testimonianza di Cristo, ad essere causa esemplare della nonviolenza, costruttrice di pace, con i propri mezzi spirituali e culturali, proponendo in particolare, quale strategia di un’azione sociale giusta, inclusiva, le Beatitudini. Tra gli altri mezzi che la Chiesa ha a sua disposizione vi sono da annoverare l’accompagnamento dei credenti nella coltivazione della dimensione sociale della loro fede, la preparazione di nuove generazioni di cattolici in una politica alta, all’insegna della carità cristiana, capace di affrontare con visione e decisione la rimozione delle cause di povertà e di diseguaglianza, che sono fonte di violenza e di conflitti. Decisiva, a livello internazionale, è la presenza della Chiesa nelle istituzioni ove è presente e le è concesso di essere.
Quanto è importante anche il compito di denuncia della Chiesa?
Se compito essenziale della Chiesa è concorrere alla trasformazione delle persone, oltre che alla loro educazione, non va dimenticata la necessaria «denuncia» della pace falsa, della menzogna e dell’ingiustizia palese, come anche, ha ricordato con forza papa Francesco, lo smascheramento della violenza, velata dietro le parvenze della legalità o della «ragion di Stato». Rientrano nell’insegnamento sociale della Chiesa l’invito a superare la semplice protesta, a praticare l’obiezione di coscienza che può essere civile o militare; la disobbedienza civile alle leggi ingiuste, la non cooperazione, col potere costituito, qualora gravemente offensivo della dignità della persona, la «lotta per la giustizia», la creazione, se è il caso, di un contropotere e di istituzioni parallele, l’uso della coercizione non violenta, – ossia senza impiego di mezzi di distruzione della vita degli uomini e delle cose -, la difesa civile nonviolenta.
La nonviolenza richiama anche il tema della “cultura dell’incontro”. Qual è secondo lei il contributo in questo senso che sta dando Papa Francesco anche con i suoi viaggi apostolici, pensiamo al prossimo in Egitto?
La «cultura dell’incontro» è fondamentale per battere l’odio, la diffidenza, la violenza, per realizzare il bene comune. Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium propone di coltivarla su più livelli: quello degli Stati, delle società e con altri credenti che non fanno parte della Chiesa. Confermando il suo prossimo viaggio in Egitto, terra tormentata e straziata da attentati, come l’ultimo compiuto contro i cristiani Copti, papa Francesco, desidera, per primo, di dare l’esempio, mettendo in pratica il suo stesso insegnamento. Chi crede in Gesù Cristo, il nonviolento per eccellenza, non esita a percorrere la sua via. Il pontefice non vuole essere da meno del Maestro. Pertanto, coraggiosamente, non rinuncia a portare la pace di Cristo.