Cari fratelli e sorelle,
caro Simone,
fra poco, quando ti chiederò di «manifestare davanti al popolo di Dio la volontà di assumere» gli impegni del presbiterato, ti rivolgerò una domanda ben precisa:
«Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che, come vittima pura, si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?»
In questa domanda è racchiuso tutto il significato spirituale ed ecclesiale di quanto stiamo celebrando e dello stesso sacerdozio.
Innanzitutto, dobbiamo riconoscere che Cristo è il sommo sacerdote, o come lo chiama Pietro nella seconda lettura, «il Pastore supremo», ed ogni nostro ministero sacerdotale deriva ed è espressione del Suo sacerdozio, unico ed eterno. Lui «si è offerto al Padre per noi» nell’Incarnazione, nella passione, morte e risurrezione, ovvero la Pasqua. L’amore fino alla fine di Gesù si rivela nel dono libero e traboccante della sua vita sulla croce: il vivere per il Padre e non per noi stessi apre la nostra vita alla pienezza. Lo abbiamo sentito nel Vangelo: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. […] tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (cf Gv 15, 9-17). È una catena ininterrotta d’amore che ha la sua origine nel Padre, viene attuata per mezzo del Figlio, e nello Spirito Santo raggiunge ogni discepolo e ogni persona. La Pasqua ci rivela che «Dio è amore» e che questo amore increato è l’essenza della vita: la morte non ha più l’ultima parola e ci è donata la salvezza, la gioia piena.
Il sacerdozio di Cristo non è finito: la sua azione pasquale, compiuta una volta per tutte sul Calvario, continua ad essere il centro della vita del mondo. La liturgia ne è il prolungamento. È ritornare ogni volta a quel momento unico e definitivo nel quale Dio si è rivelato in maniera totale come amore, donando tutto sé stesso.
Per questo ti chiederò se vorrai «essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote». Se il nostro sacerdozio non è un «rimanere attivamente nel suo amore», se non è sacramento del Suo sacerdozio eterno, della sua Pasqua, rischiamo di fallire. Mi esprimo più esplicitamente: possiamo avere i progetti pastorali più aggiornati ed efficaci, possiamo radunare grandi numeri ed essere ammirati da tante persone, ma se la nostra vita di ministri non testimonia, non è segno luminoso dell’amore di Cristo, un amore che si dona a Dio e all’umanità, alla Chiesa, rischiamo il fallimento della nostra missione.
La «consacrazione» di te stesso ha questo significato: come Cristo, Sommo Sacerdote, è morto e risorto, così tu sei chiamato a morire a te stesso, a consumarti, con amore e creatività, per far crescere il Corpo di Cristo, per servire la stessa comunità salesiana a cui apparterrai. Non sarai più te stesso a vivere, ma Cristo vivrà in te, – vivrà in te come Colui che muore per effondere una vita di comunione e di dono. È proprio così che tu sarai segno vivente della sua presenza continua in mezzo al suo Popolo.
Infine, ti chiederò se vorrai donare la tua vita «per la salvezza di tutti gli uomini». Questo è l’orizzonte della nostra consacrazione. Questo è l’orizzonte dell’amore di Dio. Esso non può chiudersi o isolarsi nel proprio tornaconto, nella propria emotività, nei propri desideri e pensieri. Siamo ordinati per annunciare ed attuare la salvezza che Cristo ha realizzato per tutti gli uomini. È un orizzonte ampio che non possiamo mai limitare o racchiudere entro i nostri gusti o la nostra soggettività. La misericordia e l’amore di Dio sono per tutti, quindi tu sarai ordinato per tutti, soprattutto per i più piccoli di questo mondo, per chi non ha niente ed è nel bisogno, in particolare per i giovani, sul modello del nostro padre e fondatore S. Giovanni Bosco.
Ma sarai ordinato anche per la salvezza del mondo, per la trasfigurazione del creato, perché Cristo è venuto per compiere una nuova creazione. Il Risorto non abbandona la storia. Vi rimane per continuare a svilupparla in Dio. Con il suo Spirito sollecita coloro che, grazie al Battesimo, vivono inseriti in Lui, a unirsi alla sua incarnazione, morte e risurrezione per far nuove le cose del cielo e della terra. Come figlio di don Bosco, santo sociale, non tralasciare di educare i giovani a vivere la dimensione sociale della loro fede. Chi non la vive mette a rischio il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice di Cristo (Evangelii gaudium, n. 176).
Caro Simone, lasciati dunque condurre dal Signore Gesù, Verbo incarnato, che intende portare salvezza in ogni persona, in ogni attività umana, nella cultura, nelle stesse istituzioni sociali, nell’educazione, nelle relazioni. Lasciati condurre anche per vie che non conosci, che sembrano non appartenerti: Lui ti conosce, ti ama, e non ti abbandonerà dove ti porterà.
A voi cari confratelli salesiani, cari genitori e parenti, cari giovani, che conoscete e accompagnate Simone con l’amicizia e l’affetto, è affidato il compito di portarlo nel vostro cuore e di pregare per lui: avrà sempre bisogno di coltivare e alimentare relazioni gratuite e sincere, di avere accanto a sé volti luminosi con cui condividere le gioie e le difficoltà. Oggi inizia – non finisce – un cammino che richiederà una continua crescita sulle orme di Cristo e, – non paia fuor di luogo -, nell’approfondimento di strumenti spirituali e culturali con cui annunciarlo ad ogni persona.
Grazie per il tuo «sì», Simone, grazie per la tua fede che ci testimonia che vale la pena vivere per il Signore in modo esclusivo!
Che la tua vita possa far toccare con mano questa gioia piena, perché altri giovani possano rispondere con coraggio alla chiamata del Signore. Che il padrone delle messe non smetta di donarci operai per la sua messe.
Signore Gesù,
tu che hai scelto Simone,
che lo hai amato in modo unico,
Tu che non lo chiami più “servo” ma amico,
fa che sia sempre unito strettamente a Te,
rimanga nel tuo amore
e la sua vita «porti frutto e il suo frutto rimanga».
Amen.
+ Mario Toso