Faenza, 1° novembre 2023.
Cari fratelli e sorelle, oggi contempliamo e viviamo il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra. Noi non siamo soli in questo mondo. Con loro formiamo il Corpo di Cristo. Con loro siamo in Cristo, figli di Dio. Con loro siamo fatti santi da Cristo e dal suo Spirito.
Noi che in questo tempo camminiamo come comunità sinodale dobbiamo ritenerci inseriti nella moltitudine immensa di cui ci parla il Libro dell’Apocalisse (Ap 7,9): una moltitudine che nessuno può contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Sant’Agostino ha descritto una tale moltitudine come una grande nuvola di testimoni che forma la Chiesa pellegrinante. Essa si snoda nella storia, giunge nel pronao di un tempio di luce, in attesa di entrare purificata nella Gerusalemme celeste, la città ove si vive esultanti nella piena comunione della Trinità.
La solennità di tutti i santi è l’occasione per prendere coscienza di tutte le dimensioni e le connessioni del nostro essere santi. La santità è il riprodurre nella nostra carne il volto, le azioni, i sentimenti e la vita di Gesù Cristo, il vero Santo. Siamo chiamati a vivere Cristo in noi, non semplicemente accogliendolo per noi stessi. Bensì mediante un cammino fatto tutti insieme, con un discernimento comunitario che diviene operativo e che costruisce la Chiesa come popolo di Dio, comunione di tanti «io» uniti nella stessa missione evangelizzatrice del mondo. I credenti sono chiamati oggi a vivere un nuovo stile di vita cristiana, cioè una vita di fede meno passiva, meno statica, meno ripiegata su di sé, meno individualistica. La nostra vita cristiana dev’essere aperta, anzitutto, all’ascolto della voce dello Spirito, all’ascolto reciproco, per individuare insieme le vie che permettono al Vangelo di arrivare al mondo e di raggiungere tutti. Dobbiamo, cioè, pensare di essere santi come persone che sono in grado di portare Cristo, il suo Vangelo, agli uomini di oggi, i quali, nella stragrande maggioranza, pensano di poter vivere senza di Lui.
Per raggiungere questa meta occorre affrettare il passo. Bisogna puntare lo sguardo sul destino della fede dei cristiani. Occorre rivedere con coraggio la forma ecclesiae, il suo volto, il modo di presenza della Chiesa di fronte alla vita della gente. Il Vangelo non può essere annunciato senza tener conto del grande cambiamento del destinatario. Come è stato sottolineato dal vescovo Franco Giulio Brambilla, i destinatari non sono tanto i non credenti, gli atei, bensì uomini e donne indifferenti, inappetenti, immersi nell’immediato e senza orizzonte di futuro, che non si fanno più neppure domande sul senso della vita. Per evangelizzare non servono solo vescovi e preti, ma anche tanti uomini e donne, con la loro dote di umanità per far sognare cos’è la vita nuova del Vangelo mediante l’ascolto, la testimonianza di fede, il contagio, lo scambio tra il dono di Dio e la vita degli uomini. La Chiesa per essere missionaria deve divenire più sinodale. Va superata la contrapposizione clero-laici. Va riscoperto il valore della vita consacrata. Va vissuto uno stile di Chiesa capace di tradursi in gesti e opere sinodali, di corresponsabilità nell’annuncio e nella testimonianza. La Chiesa può vivere efficacemente la sua missionarietà solo in un processo comunitario, di tutti e per tutti.
Ebbene, la gloriosa schiera dei santi che oggi festeggiamo vive con noi il processo della sinodalità. Tifa per noi, ci incoraggia a procedere spediti nella conversione sinodale e missionaria della Chiesa, e pertanto nell’accrescimento della comunione tra di noi, con Cristo e con la sua missione. I santi ci accompagnano nel nostro percorso verso il Regno. Dai santi del cielo siamo sostenuti, introdotti nell’amore di Cristo crocifisso. Si tratta di un amore che ci sospinge in avanti nei tornanti della storia. Ci solleva più in alto, verso la pienezza umana che abita in Cristo. Perché incarnato, il Verbo di Dio si costituisce principio e garanzia di una nuova umanità, di un umanesimo trascendente.
L’esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità, pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce, la via della rinuncia di noi stessi e della trasfigurazione, mediante il dono totale di sé. Santità e amore crocifisso sono un tutt’uno.
Per essere santi a casa nostra, nelle nostre attività quotidiane, nelle nostre comunità ed aggregazioni, non occorre compiere azioni ed opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Come ci ha insegnato santa Teresa di Lisieux, la santità ha tantissimi volti ma un’unica sorgente. Con la meditazione sull’Inno alla Carità, Teresa capisce che le membra nella Chiesa pur svolgendo ministeri diversi godono di un’unica vita. La carità è il punto di partenza indispensabile e il punto di arrivo di tutte le vocazioni. Vivendo la carità tutte le vocazioni si incontrano. Tutti i cammini di santità si intrecciano. Teresa che desiderava essere allo stesso tempo sacerdote, missionaria e altro ancora, si struggeva in un martirio interiore senza fine. Confidava di essere giunta ad acquisire la pace allorché riuscì a cogliere l’essenza profonda della Chiesa: «La carità mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che, se la Chiesa ha un corpo composto da diverse membra, l’organo più necessario, più nobile di tutti non le manca; capii che la Chiesa ha un cuore e che questo cuore arde d’amore. Capii che l’amore solo fa agire le membra della Chiesa: se l’amore si spegnesse, gli Apostoli non annunzierebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue. Capii che l’amore racchiude tutte le vocazioni. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, esclamai: “Gesù, amore mio, la mia vocazione l’ho trovata finalmente: la mia vocazione è l’amore! Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, Dio mio, me l’avete dato voi! Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’amore. Così sarò tutto”» (Ms B, 3 v°: 223).[1] Cioè, così vivrò tutte le vocazioni, perché l’anima di tutte le vocazioni è l’amore.
Santa Teresa è giunta a cogliere la radice della santità e a vivere misticamente la comunione dei santi, perché ha sperimentato l’Amore di Dio e di Cristo. Partecipando all’Eucaristia viviamo l’esperienza alta dell’amore crocifisso di Cristo. Parola e frazione del pane sono le due esperienze fondamentali attraverso cui è possibile, per la Chiesa di ogni tempo, incontrare Gesù, il suo amore crocifisso e la sua risurrezione dai morti. Unendoci a Cristo morto e risorto, entriamo in quella comunione dei santi che tiene unite le molte generazioni dei credenti e le rende solidali tra di loro. Cristo, incarnato, morto e risorto, rappresenta per noi il ponte che unisce la sponda di coloro che vivono sulla terra e la sponda di coloro che sono già pervenuti all’immortalità. Facciamo giungere a Cristo le nostre preghiere per la purificazione delle anime del purgatorio, ma anche le preghiere perché i nostri fratelli defunti intercedano per noi ogni grazia dal Signore. Non dimentichiamo che è Cristo il vero beato, il povero in spirito, l’afflitto, il mite, l’affamato, l’assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l’operatore di pace. Lui è per noi stimolo e nutrimento di santità (cf Mt 5,1-12a).
+ Mario Toso
[1] FRANCESCO, Esortazione apostolica C’est la confiance, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023, pp. 36-37.