[set 03] Omelia – Eccidio di Felisio

03-09-2023

Felisio, 3 settembre 2023.

Sig. Sindaco, Signor Parroco,

Autorità civili e militari, Associazioni,

Cari fratelli e sorelle,

Ricordiamo in questa S. Messa quella che è tristemente passata negli annali della storia come la strage del ponte Felisio (Solarolo, RA), perpetrata dai nazisti nei confronti di nove giovani contadini per rappresaglia. Nei mesi di agosto e settembre 1944 nella pianura ravennate era in atto una lotta clandestina, con numerosi attacchi e sabotaggi alle truppe d’occupazione.

Nella notte del 1° settembre a Solarolo, nei pressi del ponte sul Senio, qui vicino, si ebbe uno scontro fra partigiani e tedeschi in seguito al quale tre di questi ultimi rimasero uccisi. Il giorno successivo fu ordinato dai nazisti un grande rastrellamento nelle campagne circostanti con l’intento di arrivare ad una esecuzione esemplare.
Furono catturati i nove giovani contadini che, sommariamente interrogati tra minacce e torture, il pomeriggio stesso furono impiccati lungo la via Felisio e tenuti a lungo in macabra esposizione.

La guerra, come è stato giustamente detto e ripetuto dai pontefici, è un’inutile strage. L’esecuzione sommaria e il modo barbaro dell’eccidio perpetrato qui a Felisio stanno a testimoniarci che essa può partorire abomini, fa dimenticare la fraternità – i fascisti non erano nazisti… ma italiani -, incattivisce il cuore delle persone, rendendole disumane, senza pietà, crudeli all’inverosimile.

Perché ricordare tutto questo – ovvero l’insensatezza della guerra e l’abisso della malvagità umana – durante la celebrazione della Messa? Sicuramente, per pregare per i defunti e i loro familiari, ossia per essere solidali nei confronti di chi è stato ingiustamente trucidato e di chi porta nel cuore il dolore di una somma ingiuria inflitta ai propri cari. Viene da chiederci: perché tanto odio e tanta brutalità verso inermi e innocenti? Che cosa può riparare una simile tragedia? Che cosa può rendere più lieve una così insopportabile offesa?  Possono bastare le parole? Non di certo. Ancora una volta, dobbiamo riconoscere che solo il perdono – non perché pareggia i conti sul piano della riparazione, ma perché produce qualcosa di nuovo nelle relazioni e va al di là dell’umano – può porre le condizioni di una rinascita, di una ripartenza per le società dilaniate e devastate dai conflitti.  Nel nostro caso si tratterebbe di offrire il perdono a spietati carnefici, che con ogni probabilità, hanno già sperimentato l’inesorabilità della morte «livellatrice» e si sono presentati di fronte a Dio.

Questo è quanto spesso ci rimane da fare: domandare perdono anche per coloro che non sono più in grado di chiederlo, nella speranza che quella giustizia che non è negata, anzi è presupposta dallo stesso perdono, si possa in qualche modo realizzare. Perdonare non significa assolutamente approvare l’assassinio, la guerra, i soprusi. È porre soprattutto un atto che affida i carnefici alla misericordia del Padre e che pone le condizioni di una nuova relazione tra le persone e i popoli. Cristo dall’alto della croce proferì: «Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). Nonostante subisse ingiuria e morte, Egli ebbe la forza di pregare per i suoi uccisori e desidera per loro il meglio, e cioè che capiscano il loro errore e si ravvedano. In quell’atto di perdono deve inserirsi il nostro. Perdonare non è essere deboli. Non è rinunciare alla giustizia, all’impegno per la costruzione della pace. Tutt’altro. È affidarsi ad una logica superiore, ad una visione più ampia della semplice giustizia umana. È continuare a credere nella possibilità che l’uomo ha di rialzarsi e di riabilitarsi nonostante la sua fragilità. Nel Vangelo odierno Gesù cerca di far capire a Pietro e a noi che Dio cambia il mondo e il cuore degli uomini non mediante un’onnipotenza di violenza, bensì mediante un’onnipotenza di bontà e di perdono (cf Mt 16, 21-27). Nell’affrontare le questioni odierne Gesù ci chiama a seguirlo sulla via della croce, dell’umiltà, di un amore che si dona totalmente a Dio e all’umanità.

Quale giustizia possiamo, dunque, volere per questi nostri giorni che appaiono insanguinati da una terza guerra mondiale a pezzetti?  Pensiamo solo alla guerra in corso tra Russia e Ucraina. Basterà una giustizia semplicemente umana per ottenere finalmente una pace giusta e vera? Potrà essa rigenerare interiormente le persone che uccidono i propri fratelli? L’esperienza ci dice che solo la misericordia di Dio, ricevuta e vissuta, fa rinascere e rivivere le persone, le rende capaci di amore e di giustizia, di una pace giusta e vera. È mediante il perdono, ossia mediante il dono di un di più del semplice amore umano, che le persone rientrano in sé stesse, riconoscono la loro colpa e, in certo modo, risuscitano e vivono in fraternità e in giustizia. Fa parte dell’impegno di ricercare sinceramente la pace da cristiani lo scegliere e il percorrere la via di una nonviolenza attiva e creatrice. Non basta dire che la nostra costituzione ripudia lo strumento della guerra per ottenere la pace. E si pensa così che i problemi sono risolti. Occorre, invece, operare in modo che chi invade ingiustamente un altro popolo sia bloccato, ossia che si frapponga fra popolo aggressore e popolo aggredito una forza di pace. Detto diversamente, lavorare seriamente ed evangelicamente per la pace equivale a impegnarsi alla preparazione di istituzioni di pace. Non basta un pacifismo di semplice testimonianza. Occorre, ad esempio, predisporre, a livello spirituale, sociale, economico, politico ed istituzionale, tutto ciò che previene o rimuove la guerra. Cosa più in particolare? La radicale revisione delle regole del mercato globale delle armi (la Russia è il secondo esportatore al mondo di armamenti, dopo gli USA; un trattato sul commercio di armi convenzionali, mentre è stato ratificato dalla UE, non è stato firmato da USA, Russia e Cina); dare vita ad una Agenzia Internazionale per la Gestione degli Aiuti (AIGA), in cui far affluire, ad es., anche solo il 10% della spesa militare globale che in un decennio potrebbe sanare le attuali diseguaglianze strutturali; la revisione del trattato di non proliferazione nucleare; uno sviluppo integrale, sostenibile ed inclusivo; la riforma dell’attuale ONU in senso più democratico; la revisione trasformazionale dell’assetto delle istituzioni politico-giuridiche nate a Bretton Woods nel 1944 (FMI, OMS, Banca Mondiale, WTO) e divenute obsolete; la creazione di nuove istituzioni – dotate di poteri mondiali – relative alle migrazioni (OMM), all’ambiente (OMA), all’acqua; l’universalizzazione di una democrazia partecipativa, rappresentativa, inclusiva, deliberativa; l’umanizzazione della politica in senso samaritano; la preparazione di nuove classi politiche; l’educazione alla pace, la preghiera.

Partecipando al Sacrificio di Cristo condividiamone l’impegno di costruire un mondo nuovo senza l’uso della violenza, ma con l’amore e il perdono. Facciamo comunione con il suo Spirito d’amore. Facciamo scelte giuste e coerenti con la nostra fede che ci fa vivere in comunione con Cristo.

                                                                           + Mario Toso