Faenza, cattedrale 15 agosto 2023.
Celebriamo oggi la solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo, dogma definito nell’anno del Giubileo 1950 da Pio XII, il primo novembre.
Colei che fu Madre di Dio, come fu preservata dal peccato originale, così lo fu dalla corruzione del corpo. Al pari del corpo del Figlio che risuscitò e salì al cielo trasfigurato, anche il corpo di Colei che lo portò in grembo e lo generò è assunto in cielo integro, senza subire dissoluzione, ed è glorificato. Il Figlio e la Madre subirono la morte, ma non il disfacimento del loro corpo, a differenza del nostro, che sarà sottoposto alla corruzione del sepolcro.
Colei che ha generato il Signore della vita non subì la corruzione del sepolcro, né dovette attendere la redenzione del suo corpo alla fine del mondo.
A ben riflettere, nel periodo estivo, quello delle ferie agostane, la Chiesa ci sospinge a celebrare con gioia gli effetti della redenzione di Cristo, morto e risorto, sull’umanità, a cominciare da sua Madre. Nella solennità dell’Assunta, detta anche «Pasqua dell’estate», festeggiamo Cristo risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Grazie a Cristo, risorto in anima e corpo, risorgeranno tutti coloro che sono suoi. Maria è la prima dopo la primizia che è Cristo. Colei che ha generato il Signore della vita viene assunta in cielo in anima e corpo, senza conoscere la corruzione del sepolcro.
Guardando a Maria vediamo già realizzato il nostro futuro. La nostra esistenza, pur subendo il disfacimento nel corpo, non finirà per sempre in un pugno di cenere, nella tomba. I cimiteri dei cristiani, non a caso, nel loro stesso nome indicano di essere dei «dormitori»: i corpi dei fedeli defunti dormono il sonno della pace in attesa del ricongiungimento, nell’ultimo giorno, con la propria anima gloriosa. Dopo la corruzione del corpo nel sepolcro saremo redenti e glorificati anche nel corpo. Se veniamo sepolti corruttibili, risorgeremo incorruttibili.
Il nostro destino, dunque, è quello di una vita non indebolita o depotenziata. Camminiamo verso un futuro di pienezza, uniti a Cristo, primizia di coloro che sono morti e che risorgono con Lui.
Cari fratelli e sorelle, forse non sempre pensiamo alle conseguenze per la nostra esistenza di persone viventi nell’integralità del nostro essere, in anima e corpo, in Cristo e per Cristo. Noi spesso, sedotti dalle ideologie del nostro tempo, pensiamo a noi stessi come esseri meramente corporei o puramente biologici. Pensiamo al nostro essere come ad una dualità: da una parte c’è l’anima e dall’altra c’è il corpo. Detto diversamente, non pensiamo a noi stessi come ad una unità, ad un sinolo o a un tutt’uno di anima e corpo. Spesso, poi, abbiamo del corpo una visione negativa, quasi platonica. Il nostro corpo è la parte che imprigiona l’anima e ne coarta la libertà. In realtà, il nostro essere è qualificato dalla nostra corporeità, che non abbiamo ma siamo. È grazie alla nostra corporeità che l’anima ama, muove i passi verso a chi ha bisogno del nostro aiuto. Noi non siamo noi stessi senza la corporeità che riceve la sua forma e il suo slancio d’amore dall’anima spirituale. La verità dell’Assunzione in anima e corpo della Beata Vergine Maria ci fa capire che tutto il nostro essere umano, in anima e corpo, è destinato alla trasfigurazione gloriosa nella sua totalità. Proprio per questo dobbiamo pensare al nostro corpo come a una realtà da amare, da coltivare, con la quale vivere l’amore umano, ma soprattutto l’amore di Cristo. Il nostro corpo, grazie alla incarnazione e alla risurrezione di Cristo, viene trasfigurato, raggiunge il suo compimento come «luogo» in cui si attua l’amore di Dio. Di qui una visione meno spregiativa della nostra corporeità. Di qui una cura particolare anche della nostra corporeità. Il che consente alla nostra anima di sussistere meglio dal punto di vista umano. Mens sana in corpore sano, dicevano gli antichi. Grazie alla risurrezione di Cristo non solo l’anima, ma anche la nostra corporeità invera la trascendenza che ci caratterizza e ci definisce.
Non dimentichiamo che è proprio una visione trasfigurata dell’unità dell’essere umano, che deriva dalla concezione della vita destinata alla partecipazione della gloria del Risorto, che ha fatto nascere e fa continuamente sorgere quelle istituzioni di aiuto e di cura alle persone malate, portatrici di handicap, anziane, che consentono di definire le nostre società come realtà civili.
Penso qui a don Armando Trevisiol, meraviglioso sacerdote veneziano, il quale ha saputo incarnare in maniera creativa la visione pasquale della persona che ci consegnano gli eventi della Risurrezione di Cristo e dell’Assunzione di sua Madre. Don Armando, pensando alla grandezza e alla dignità che le persone anziane posseggono non solo in quanto esseri umani, ma soprattutto come soggetti destinati alla risurrezione ha creato i Centri “don Vecchi”. Don Armando ha sviluppato sempre più la sua concreta e appassionata attenzione alla cura degli anziani e delle persone più deboli e povere, attraverso iniziative ed opere che sono, a tutt’oggi, in piena attività e sono cause esemplari anche per altre province. I Centri Don Vecchi sono ora suddivisi in molteplici strutture tra viale Don Sturzo a Carpenedo, Marghera e la zona degli Arzeroni: realtà pensate per anziani autosufficienti, che alloggiano in miniappartamenti indipendenti ma collegati a spazi e servizi comuni nonché ad iniziative di incontro e socializzazione. Unitamente ai Centri don Vecchi don Armando ha avviato molteplici iniziative, come la Bottega solidale – spesa gratuita grazie alle offerte di cibi in eccedenza dei negozi -, i Magazzini San Giuseppe e i Magazzini San Martino, di recente confluiti nel grande Centro di solidarietà cristiana Papa Francesco in via Marsala. Don Armando è stato anche molto attento e sensibile al mondo delle comunicazioni sociali, presiedendo e animando per lungo tempo l’emittente Radiocarpini e promuovendo numerose iniziative editoriali.
Ma non occorre andare lontani per indicare quelle buone pratiche che sono sorte anche nel nostro territorio come desiderio di offrire condizioni migliori di vita per i figli e le figlie di Dio meno fortunati, perché socialmente deboli, perché colpite da sindromi provocanti menomazioni.
Pensiamo all’impegno posto in essere dalle nostre parrocchie e dalle altre realtà ecclesiali, specie con riferimento ai disastri provocati dalle alluvioni dello scorso mese di maggio. Ma l’impegno delle realtà ecclesiali a favore di quanti sono nel bisogno è dimensione costitutiva del nostro essere Chiesa che vive la carità di Cristo Samaritano. La Caritas e la rete dei centri d’ascolto parrocchiali, i volontari sono da sempre in prima linea per aiutare un’umanità fragile e sofferente.
Non possiamo, poi, dimenticare i tanti enti del Terzo settore che, per legge, perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale, a partire dalle cooperative sociali che si occupano di organizzare servizi per minori, adulti e anziani in difficoltà. Penso, ad esempio, alla Casa dei Nonni di Villanova di Bagnacavallo, gestita dalla parrocchia di Villanova, che offre assistenza e ospitalità ad anziani con diversi gradi di autosufficienza. Penso alla Casa Santa Chiara e alla Casa San Francesco dell’OAMI che a Faenza accolgono anziani che, per ragioni di salute o per motivi familiari, non possono più risiedere nella loro casa. Penso, ancora, al Consorzio Blu che intende rispondere in maniera sempre più qualificata ai complessi bisogni di cura delle persone più vulnerabili (anziani, disabili, minori). O alla Cooperativa CEFF che offre alle persone con disabilità e/o condizioni di fragilità e svantaggio servizi personalizzati socio-abilitativi, educativi, riabilitativi e assistenziali; percorsi di sostegno all’autonomia, di formazione professionale e di inserimento lavorativo.
Se viviamo autenticamente la nostra fede in Cristo risorto, nonché la sua Carità saremo in grado di generare una nuova cultura della cura, specie nei confronti dei più piccoli, ma non solo.
+ Mario Toso